Si chiama Sul Liaoning, come l’omonima provincia del fu Celeste Impero dove è stata varata, è lunga 300 metri, ed ha un dislocamento di oltre 60mila tonnellate. È la prima portaerei della Repubblica Popolare Cinese, entrata ufficialmente in servizio quest’oggi con la cerimonia d’alzabandiera svoltasi nel porto di Dalian. Imbarca 2mila marinai, ed è in grado di trasportare fino a 30 Shenyang J-15, caccia di fabbricazione cinese, progettato per decollare proprio dal ponte di una portaerei, e “ispirato” al russo Sukhoi Su-33.
«L’ingresso della portaerei tra le unità della flotta cinese è importante per per elevare la capacità di combattimento della nostra Marina a un livello moderno», ha dichiarato il ministero della difesa di Pechino attraverso un comunicato ufficiale diramato per l’occasione. Del resto, la Cina era rimasta l’unico paese membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu ad essere sprovvisto di una portaerei.
Ma davvero la nuova nave renderà Pechino in grado di competere con gli Stati Uniti come potenza navale per la supremazia nell’Oceano Pacifico, considerato che schiera tutt’ora meno portaerei di Italia e Spagna, entrambe con due navi di questo genere al proprio attivo? Sicuramente no. E non solo perché Washington è in grado di schierare al momento un numero di portaerei 11 volte superiore al rivale cinese. Ma anche perché la Sul Liaoning è sì nuova di nome, ma non certo di fatto.
Il tanto decantato gioiello della marineria cinese, infatti, altro non è se non la vecchia portaerei sovietica Varyag, pensata come secondo esemplare della classe Admiral Kuznetsov, impostata nel 1985, abbandonata dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ceduta alla neonata Ucraina e da questa venduta nel 1998 ad una compagnia cinese intenzionata a farne, ufficialmente, un gigantesco casinò galleggiante con annesso albergo extralusso.
Dopo oltre un decennio di lavori di riammodernamento, senza mai la sicurezza che il progetto potesse andare davvero in porto, e non restasse soltanto un grande spot propagandistico del regime, oggi la “poderosa” Sul Liaoning che si appresta a solcare orgogliosamente i mari è poco più che una gigantesca bagnarola ridipinta. Una bagnarola, però, da non sottovalutare.
Perché se sul piano militare la portaerei cinese non è in grado di impensierire le navi della flotta statunitense o britannica, sul piano politico la Sul Liaoning è un chiaro messaggio che Pechino lancia ai vicini di casa di Tokyo, Seoul, ma anche Taipei e Giacarta, lasciate in questi ultimi tempi sempre più sole dalla politica estera dell’amministrazione Obama, che sembra aver ormai definitivamente abdicato al ruolo di “fratello maggiore” degli alleati orientali. Senza contare che, riadattata alla bisogna la vecchia portaerei ucraina, nessuno impedirà a Pechino di fabbricarsene altre in futuro per conto proprio, così come già ampiamente fatto per aerei, carri armati e armamenti di vario genere.
Che la meganave sia soprattutto (almeno per il momento) un grande spot di realpolitik, specie in questo periodo di forte attrito per alcune vecchie ma mai sopite contese territoriali con Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Indonesia e persino Vietnam, lo lascia facilmente supporre il siparietto politico precedente la scelta del nome Sul Liaoning: archiviata l’originaria ipotesi di chiamarla Shi Lang (come un celebre ammiraglio cinese del XVII secolo), i vertici della marina avevano infatti esercitato fino all’ultimo fortissime pressioni per chiamarla Diaoyu. Proprio come il nome cinese delle isole Senkaku, al centro in questi giorni di una rivendicazione territoriale ai danni dell’eterno rivale giapponese.