A mente freddaContro il proporzionale, nel 1944: la lezione di Luigi Einaudi

Nel corso di questi mesi ho espresso più di una volta la mia avversione al mantenimento, per le elezioni politiche, di sistemi elettorali di natura più o meno direttamente proporzionale a scrutinio...

Nel corso di questi mesi ho espresso più di una volta la mia avversione al mantenimento, per le elezioni politiche, di sistemi elettorali di natura più o meno direttamente proporzionale a scrutinio di lista, e la mia predilezione per un maggioritario uninominale a doppio turno con ballottaggio ristretto, unito ad alcue riforme degli equilibri istituzionali (sfiducia costruttiva, premierato) che possano garantire un suo buon rendimento, spiegando le ragioni dell’efficienza di questo sistema.

Dal momento che non solo le forze politiche continuano a girare attorno a sistemi elettorali di matrice proporzinalistica spuria che in un modo o nell’altro garantiscano la possibilità di predeterminare i rapporti di forza, ma anche nell’opinione pubblica la logora retorica del proporzionale “giustizia dei numeri” senza se e senza ma continua a fare proseliti, ritorno sull’argomento. Lascio però la parola a un autore da me assai amato, come sa chi segue questo blog, il quale nel 1944, dall’esilio in Svizzera, espose vivacemente il suo rifiuto (destinato a restare inascoltato) per soluzioni proporzionalistiche alla costituzione dell’Italia postfascista. Naturalmente, alcune espressioni del testo possono apparire datate, perché esprimono una diffidenza tipicamente liberale e un po’ aristocratica per i grandi partiti-macchina d’integrazione di massa; tuttavia, in un momento in cui si stenta a trovare una forma-partito efficiente dopo che gli esempi più in voga nei decenni precedenti hanno fatto almeno in parte il loro tempo, forse ascoltare questo genere di opinioni potrebbe essere utile a impostare la riflessione sulla rappresentanza politica secondo termini che oggi ci appaiono quantomeno inconsueti.

La rappresentanza proporzionale fu inventata da aritmetrici raziocinatori, inetti a capire che i paesi non si governano con le regole del due e due fanno quattro. […] I parlamenti non sono società di cultura od accaemie scientifiche. Sono organi, il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne l’azione. […] Le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il censimento delle sette, dei ceti, dei partiti, dei movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cu si fraziona una società, la quale sia composta da uomini vivi e pensanti: ma si fanno per mettersi d’accordo in primissimo luogo, sul nome della persona che in qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno l’operato. le elezioni hanno ciè per scopo di creare il consenso intorno ad un uomo e al suo gruppo di governo e intorno a chi oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli daranno ragione. Se non si vuole l’anarchia, questo e non una sterile accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema elettorale.

Risponde alla esigenza il sistema della proporzionale? No. […] Il proporzionale è il trionfo delle minoranze; ognuna delle quali ricatta le altre ed il governo, il quale dovrebbe essere l’espressione della maggioranza, per costringere parlamenti a votare e proporre leggi volute dai singoli gruppi. Cinquanta divorzisti eletti come tali e formanti un gruppo a sé sono una forza ben diversa da cinquanta deputati, i quali hanno iscritto il divorzio in un programma più generale di un partito il quale ha ideali complessi, di cui il divorzismo è solo uno dei tanti aspetti. Il gruppo dei divorzisti che non si occupa d’altro che del divorzio è disposto a dare il voto a chiunque gli prometta di far trionfare il suo piccolo ideale e può, all’uopo, addivenire alle alleanze più illogiche. I divorzisti generici, invece, che fan parti di una maggioranza che non vuol rinunciare al governo o ce non vuole perdere la speranza di conquistarlo, daranno al divorzio un posto adeguato nell’ordine gerarchico dei fini da conseguire; e solo se esso sia veramente richiesto dalla coscienza giuridica nazionale lo anteporranno agli altri e giocheranno su esso le fortune del partito.

Insieme ai ricatti, la proporzionale favorisce il dominio dei comitati elettorali e toglie all’elettore ogni effettiva libertà di scelta dei propri rappresentanti. […] Moltiplicando i partiti, ed asservendoli ai comitati, la proporzional favorisce le dittature e i colpi di mano. Col sistema della maggioranza, ogni partito ha la speranza di diventare in avvenire maggioranza seguendo le vie legari della persuasione degli incerti. Ma quale mai speranza […] possono avere i divorzisti o gli antivaccinisti di diventare maggioranza? Nessuna. La proporzionale dà ad ogni partito o gruppo tanti rappresentanti quanti sono gli elettori aderenti a quel credo. quale probabilità ha il divorzista di far proseliti tra gli antivaccinisti e di diventare così maggioranza? […] Altro rimedio non resta, per conquistare la maggioranza, se non ricorrere all’antico, accettato e lodato metodo dello spaccare le teste degli avversari, invece di contarle, come è usanza nelle contrade civili. […]

L’errore massimo di principio della proporzionale è di confondere la lotta feconda delle parti, dei gruppi, degli ideali, dei movimenti, la quale ha luogo nel paese, con la deliberazione e l’azione dei parlamenti e dei governi. Nessun parlamento, nessun governo funziona se il sistema elettorale irrigidisce i partiti, i gruppi, le classi i ceti sociali, le tendenze, le idee, dandone la rappresentanza esclusiva a talune persone eette perché mandatarie di quei gruppi o di quelle idee. Occorre che vi sia un congegno il quale obblighi le idee, i gruppi, i ceti a cercare quel che essi hanno di essenziale, di comune con altri, a classificare i fini ed a rivolgere la propria azione verso quel fine che ha il consenso dei più. […] L’idea nuova non si divende e non si fa trionfare nei parlamenti. Essa nasce nei libri e nelle riviste, si propaga nei giornali, dà origine ad associazioni, a gruppi di propaganda; conquista l’opinione pubblica, e cioè l’opinione media, quella di coloro che non sono già gli adepti di un credo. Solo allora, ed è bene che ciò accada solo allora, se non si vuole che i parlamenti siano popolati da inventori sociali, da fanatici, da gente tocca nel cervello, gli uomini politici se ne accorgono. sSolo allora i capi della minoranza vedono in quel movimento un pretesto per criticare il governo, il quale non ha ancora capito l’importanza della nuova idea. Solo allora i capi della maggioranza di governo, costretti a difendersi, si occupano del problema posto dall’idea nuova e vanno al contrattacco, dimonstrando che l’idea non è nuova ed è sbagliata. La lotta si accende e, se davvero l’idea è nuova e vitale, viene il giorno in cui il capo della maggioranza, se vuol sopravvivere, proclamera: l’ho sempre detto anch’io! […] Se il trionfo, per ricatto dei gruppi, avesse avuto luogo prima, sarebbe stato ingiusto ed effimero.

Junius (Luigi Einaudi), L’italia e il secondo risorgimento, supplemento alla “Gazzetta Ticinese”, 4 novembre 1944, ora in Id., Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), a cura di Ernesto Rossi, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 56-63.

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