Ho letto Giannino su Tempi.it oggi, e sono in disaccordo. Non si può, nello stesso post, imputare la colpa a Renzi di “restare nel recinto delle vecchie forze politiche per noi è segno di non comprendere che il problema è proprio quello di superarle” e dire – tra altre cose – invece che il progetto di Casini se cambiassero le persone sarebbe credibile.
Cosi come è piuttosto difficile argomentare che l’Agenda Monti ha la stessa politica economica del passato: anche questa mi sembra una grossa forzatura da parte dal leader di fermare il declino (FID). Sul governo Monti mi sembra molto più azzeccata la sintesi di Renzi che dice che il Governo Monti, certo tra mille difficoltà ed errori, ha dimostrato che è possibile fare “le cose” anche in Italia. Monti ha dimostrato che non è importante se il gatto è nero o bianco, basta che prenda i topi.
Il punto è che Renzi – come tutti gli altri che si dovessero candidare – ci devono dire esattamente quale è il loro programma e con quale team intendono realizzarlo, perchè per dirla con Giorgio Vittadini “Il nostro Paese è come Prigioni di Michelangelo, quelle opere in cui una forza straordinaria cerca di uscire dall’interno del marmo, ma è come imbrigliata nella stessa materia, legata da funi e da corde, e per questo non riesce ad esprimersi”.
Valutiamo solo la credibilità dei programmi per liberare le energie della società di chiunque si candiderà. Il resto – a mio avviso – suona ideologico e, come capita spesso alle ideologie, sbagliato anche nel merito.
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Oscar Giannino su Tempi.it, 13 settembre 2012
Negli ultimi giorni, tre eventi hanno catalizzato l’attenzione politica dei media. Cominciamo dal confronto interno al Pd. Matteo Renzi sale nei sondaggi di fiducia e popolarità; molti chiedono a noi di Fermare il declino come consideriamo la sua ascesa. È presto detto. Apprezziamo l’energia e chiarezza con cui pone nel Pd il tema del profondo rinnovamento della politica e della selezione delle sue classi dirigenti. Non sappiamo come la pensa su alcuni dei punti fondamentali per noi essenziali, indicati nel nostro programma e per noi irrinunciabili. Non possiamo né vogliamo esprimere alcun consenso alla sua azione, se e finché dichiarerà che in ogni caso il suo obiettivo resta all’interno dell’attuale perimetro del Pd. Restare nel recinto delle vecchie forze politiche per noi è segno di non comprendere che il problema è proprio quello di superarle, alla luce del pessimo bilancio del ventennio che abbiamo alle spalle.
Seconda questione è quella della cosiddetta agenda Monti, o meglio la conferma tout court di Monti come premier per il futuro, a prescindere dalle prossime elezioni. A mio giudizio, un’impostazione inaccettabile. Tre questioni molto rilevanti obbligano però a ragionare diversamente sul futuro politico dell’Italia dopo le prossime elezioni.
– La prima è che dare l’impressione agli italiani che il loro voto ha un’importanza pressoché nulla – perché si tratta di confermare la stessa premiership tecnica che per altro rifiuta di sottoporsi a giudizio elettorale – non può che rappresentare un ulteriore incoraggiamento al voto di protesta.
– La seconda è che non comprendo in che cosa la più volte citata agenda Monti si differenzi dall’impostazione di politica economica seguita in precedenza: agli occhi degli italiani, l’esecutivo tecnico ha significato più tasse, nessuna cessione di attivo pubblico per abbattere il debito, nessun taglio di spesa che sia stato retrocesso ai contribuenti per far risalire la crescita potenziale. Solo un nuovo patto con gli italiani, che goda del consenso esplicito degli elettori su proposte precise, può produrre il sostegno necessario a invertire la politica economica imboccando la via di una profonda ridefinizione dello Stato.
– La terza questione riguarda il dibattito sotteso dal “partito-Monti”. La conferma sarebbe dovuta alla perdita di sovranità implicita dell’Italia, alle clausole per gli aiuti europei sottesi allo stesso programma straordinario di ripresa di acquisti dei titoli eurodeboli varato dalla Bce. In altre parole, il governo italiano si decide a Berlino e a Bruxelles prima e più che nelle urne italiane.
Infine, il terzo evento: il convegno di Chianciano dell’Udc. L’intervento di Emma Marcegaglia ha fatto scrivere che la Lista Italia di Pier Ferdinando Casini sarebbe già la nuova offerta politica per le prossime lezioni. Non la penso così. A mio giudizio sono dirimenti quattro questioni.1) Un forte rinnovamento della politica, impegni espliciti nei meccanismi di selezione della classe dirigente, vincoli per i quali non si possa dire una cosa a Roma e una a Palermo;
2) Un energico mutamento nella politica economica, con proposte serie per abbattere il debito statale, con cessioni pubbliche e retrocedere tagli di spesa in meno imposte a lavoro e impresa, vincolanti insieme alle 10 proposte programmatiche che abbiamo presentato;
3) Ridefinire lo Stato, il suo perimetro e le sue mille articolazioni inefficienti rispetto alla centralità della libertà della persona e della sussidiarietà;
4) Cambiare le persone: senza evidenti discontinuità nel ceto politico, non si dà una risposta credibile alla protesta di massa della società italiana.
Su questi punti, l’Udc a Chianciano non ha dato risposte. Continuiamo dunque per la nostra strada. Non c’è molto tempo. Se i partiti credono di affrontare il declino dell’Italia con modesti aggiustamenti, saranno gli elettori a svegliarli. Personalmente, io e altri con me non abbiamo messo in pubblico la nostra faccia per proporre e tanto meno diventare degli indipendenti sotto il simbolo dello scudocrociato. Se Marcegaglia, Passera e altri ritengono di sì, questo riguarda loro. Non noi.Naturalmente, non è affatto detto che da soli avremo, in poche settimane e con pochi mezzi frutto di raccolta spontanea, la forza di convincere gli italiani che il cambiamento profondo di cui siamo convinti cammina sulle nostre gambe. Anche perché servono le gambe di molti altri. Gambe credibili: come quelle degli amici di Rete Italia del Veneto che come eletti e presenti in un quarto dei Comuni della regione ci stanno raggiungendo in queste settimane, stanchi e delusi di un Pdl che non li rappresenta e in cui non si riconoscono più. Cosa che per me è di grande importanza e incoraggiamento. Con l’unica faccia che mi ritrovo, posso certo sbagliare e in quel caso lo ammetterò pubblicamente, ma non posso certo permettermi di deviare dalla chiarezza dei princìpi e delle proposte avanzate.