Da qualche giorno sto cercando di mettere insieme una riflessione che descriva il significato di quanto sta avvenendo nel PD dal momento in cui, con l’opposizione congiunta di tutto il suo establishment alla candidatura alla leadership di Matteo Renzi, le quotazioni di un candidato sostanzialmente senza speranza sono salite fin quasi a diventare davvero una minaccia per gli equilibri consolidati. Per fortuna, c’è chi ha trovato le parole prima e meglio di me, e io non devo far altro che segnalare il suo intervento.
Si tratta (e senz’altro non è un caso) di una voce idealmente assai lontana dalla cultura di sinistra, oltreché lontana dalla bagarre del confronto politico e d’informazione quotidiano: autore del testo che invito a prendere inconsiderazione è infatti il direttore dell’Istituto di Politica, Alessandro Campi, politologo che nel corso del tempo non ha rifiutato l’impegno nella “battaglia delle idee” su posizioni ascrivibili al centro-destra, ma che non ha mai rinunciato alla propria autonomia di pensiero. Nel suo Chi ha paura (e perché) di Matteo Renzi, pubblicato come proseguimento della riflessione iniziata da una collaboratrice dell’Istituto sul sito, Campi sostiene posizioni che in linea di massima condivido. Particolarmente significativo mi è sembrato il seguente passaggio:
Il risultato di questo geniale e coraggioso uno contro tutti? Nei sondaggi Renzi sta col fiato sul collo di Bersani. Il che significa che così continuando le primarie potrebbe vincerle a furor di popolo (della sinistra). Ma si può essere più miopi o stupidi (scegliete voi)?
Intendiamoci, la polemica di Renzi contro la nomenclatura della sinistra che con tanta tenacia lo avversa è certo ossessiva, con quel suo continuo invitare alla rottamazione un intero gruppo dirigente: un argomento che in effetti ricorda il “tutti a casa” qualunquista di Grillo. Ma il senso di paura e minaccia che circola tra i dinosauri del Pd (e spesso solo tali, a sentire come ragionano, anche alcuni giovani funzionari e parlamentari) dimostra che essa è fondata. Conferma che in questo Paese nessuno ama sul serio la competizione (l’Italia è una nazione di cooptati) e che in politica le posizioni raggiunte si intendono acquisite a vita. Il merito di Renzi – e la ragione per cui piace trasversalmente, ma soprattutto a sinistra, cosa che nel Pd ancora non è del tutto chiara – è di aver per primo, quasi da solo, posto il problema di una generazione che preme alla porta, che a furia di aspettare la chiamata dall’alto si sta inaridendo, e di un’altra che – visti anche i fallimenti accumulati e le soddisfazioni che comunque s’è cavata – dovrebbe amabilmente farsi da parte, nell’interesse generale.
Se quella italiana fosse una sinistra intelligente, per davvero dinamica e innovativa e non quel museo delle cere che è diventata, tanto conformista sul piano culturale quanto ormai conservatrice sul piano politico sociale, da un pezzo avrebbe preso Renzi per farne la sua carta vincente alle prossime elezioni e per garantirsi così la guida del Paese per i quindici anni a venire. Ma il riflesso autoconservativo del notabilato progressista e l’idea che la politica sia in fondo una carriera amministrativa tra le altre, dove si procede per scatti d’anzianità e promozioni dall’alto, non per merito individuale, idea che accomuna gli ex-comunisti e gli ex-democristiani, impedisce che si faccia ciò che ad un osservatore esterno sembrerebbe normale. Anzi, si fa il contrario: da risorsa da spendere dinnanzi ad un’opinione pubblica esasperata dai partiti d’ogni colore si è trasformato Renzi in un nemico da neutralizzare ad ogni costo.
Indovinata, secondo me, anche la conclusione:
La colpa vera di Renzi – al dunque – è di aver preso sul serio lo strumento delle primarie dopo che quest’ultime sono state utilizzate dai vertici della sinistra – da Prodi nel 2005, da Veltroni nel 2007, infine dallo stesso Bersani nel 2009 – come una passerella trionfale, tanto si sapeva già chi avrebbe vinto. Stavolta è diverso, si annuncia una competizione vera, basato a sua volta su una contrapposizione politica reale. E col malcontento e la voglia di novità che circolano nel Paese (anche e forse soprattutto a sinistra) non è da escludere una sorpresa. Ed è questa, soltanto questa, la ragione degli attacchi smodati a Renzi da parte degli oligarchi del Pd: non hanno paura della destra, che nel frattempo s’è affossata da sola, o di Grillo, fenomeno destinato a sgonfiarsi quando si capirà che è soltanto un avventuriero, temono piuttosto di essere spazzati via dai propri elettori e simpatizzanti, e per colpa di un ragazzino petulante, proprio ora che stavano assaporando un trionfale ritorno al potere.