Chi segue il mio blog conosce già il mio punto di vista sulla necessità di mostrare o meno gli orrori.
Quello che un qualsiasi organo di informazione dovrebbe sempre chiedersi è “Serve a qualcosa? “.
Dovrebbe essere questo il criterio dirimente, mentre oggi mi sembra che il criterio dirimente sia spararla più grossa degli altri, alzando sempre di più la posta, e mi chiedo what’s next?
E chissene frega del dolore degli altri e del rispetto della morte, siamo alla pornografia del dolore allo stato puro.
Mi riferisco alle foto pubblicate da AFP, importante agenzia di stampa internazionale e riprese fra gli altri anche sul sito online di Repubblica, dell’ambasciatore americano ucciso ieri nell’assalto all’ambasciata americana di Benghazi.
Non stiamo parlando del corpo di un dittatore sanguinario, ma di un uomo qualunque, ucciso barbaramente, a chi e cosa serve la pubblicazione di queste foto? Per dimostrare la barbarie dell’attacco all’ambasciata bastavano le fotografie che quasi tutti hanno pubblicato dell’assalto.
La foto è stata scattata non da un fotografo professionista ma da qualcuno che si trovava lì in quel momento e poi acquisita dall’agenzia attraverso il suo corrispondente a Tripoli (sarà stata pagata?).
Trovo poi così ipocrita fare precedere le orride foto da una slide che avvisa che il contenuto delle immagini potrebbe urtare la sensibilità del lettore, come ho già detto in un’altra occasione urta la mia intelligenza oltre che la mia sensibilità.
Per non parlare del fatto che subito sotto le didascalie appaia il pollice di gradimento di facebook, ovviamente in automatico, non dico che sia intenzionale, ma insomma non c’è nessuno che controlla queste cose? Perchè sinceramente in questo caso la frase “114 persone hanno consigliato questo elemento. Fallo anche tu, prima di tutti i tuoi amici” è quantomeno paradossale.
Forse alcuni giornalisti dovrebbero rileggersi L’art. 8 del Codice Deontologico di noi giornalisti sulla Tutela della dignità della persona che recita :
Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine.
Platone nell’Apologia di Socrate racconta di quando Socrate uscito dalla città per passeggiare vede confusione, si avvicina e davanti ai suoi occhi stanno lapidando qualcuno, lui si ferma e resta come ipnotizzato, non riesce a distogliere lo sguardo dal macabro rituale. Il punto è che la pulsione di morte è insita nell’uomo, siamo attratti dalla violenza e dalla morte, e quest’attrazione non ha niente a che fare con l’essere delle “brave” persone. Non si può dividere il mondo in buoni e cattivi, troppo semplice, ma noi giornalisti abbiamo una responsabilità troppo grossa nella formare le opinioni e le menti altrui e diventa quindi imprescindibile chiedersi cosa vogliamo farne di questa pulsione di morte: alimentarla o no?