Guardarsi intorno, per verificare l’entità dei danni, e cercare qualche volto familiare tra chi è rimasto indenne. E’ una delle prime azioni che automaticamente si compiono dopo un evento improvviso, catastrofico, capace di cambiare il nostro mondo.
E’ questa la sensazione che ha chiunque provi ad osservare Roma, oggi. Percorrendo a fatica le vie del suo centro storico-archeologico, come le strade delle sue periferie. Alzando lo sguardo verso il Colosseo e Castel Sant’Angelo, come verso le palazzine della Bufalotta o il serpentone di Corviale. Sensazione che si rinsalda se si decida di sorvolarla, la Città di Cesare e Augusto, di Nerone e Traiano, dei Papi, e dei rapaci costruttori del boom degli anni Sessanta. La Roma sbagliata, descritta anche da Insolera nel Rapporto di Italia Nostra del 1974. A suo dire figlia di sbagli del passato colpevolmente reiterati. “La politica di non fare di Roma una città a misura e a disposizione delle classi popolari è una politica tradizionale fin dall’Unità d’Italia. Che deriva da un giro d’affari e di potere collegato alla classe dirigente romana.”
Un problema sul quale non si interviene. Continuando a promuovere housing sociale e abbattimenti. Spesso giustificando quest’ultima operazione con la necessità di provvedere, urgentemente, alla prima. Ancora, procedendo per pericolose aggiunte dove gli strumenti urbanistici lo consentono e tentando di farlo anche lì dove vincoli storico-archeologici e ambientali lo impedirebbero. Come rischia di accadere in tante aree dell’agro romano.
Alla recente Biennale di Architettura di Venezia, dove il tema del riciclo urbano è sostenuto come elemento essenziale anche per le nostre città, Alison Crawshaw ha focalizzato proprio su Roma il suo intervento. Una realizzazione sulla facciata del Padiglione Centrale (“il grande balcone”) ai Giardini sul quale è una tela sulla quale è proiettato un atlante dell’abusivismo a Roma.
Aumenta il numero dei progetti che pongono sotto i riflettori la crisi delle città e suggeriscono modalità alternative al consumo di suolo come unica soluzione alla crescita demografica. S’intensifica il dibattito sulle modalità attraverso le quali le città possono migliorarsi.
A Roma i sindaci più recenti, impotenti di fronte ai problemi architettonici ed urbanistici, non sapendo cosa fare, hanno preferito stravolgere piazze con fontanelle, panchine retroilluminate e nuove pavimentazioni. Lasciando che aumenti il degrado, oltre che edilizio, umano. L’idea dell’architetto redentore, è assolutamente errata. Dal momento che non è l’edificio, generalmente fuori scala e dal disegno “nuovo”, che crea una società civile nuova.
La riqualificazione dovrebbe comprendere edifici e strade. La ricomposizione del baricentro della vita sociale nelle periferie. Portare l’architettura lì dove essa è assente.
Giulio Carlo Argan, sindaco della città tra il 1976 e il 1979, notava come “La storia urbanistica di Roma è tutta e soltanto la storia della rendita fondiaria, dei suoi eccessi speculativi, delle sue convenienze e complicità colpevoli”.
Da allora, ci sono nuovi centri commerciali e ancora zone di espansione. Nella maggior parte anch’esse come le vecchie borgate, prive delle necessarie infrastrutture. Gli interventi slegati tra loro. Privi di una visione d’insieme.
Scriveva Pier Paolo Pasolini ne Le ceneri di Gramsci, “Povero come un gatto del Colosseo vivevo in una borgata tutta calce e polverone, lontano dalla città e dalla campagna, stretto ogni giorno in un autobus rantolante; e ogni andata, ogni ritorno era un calvario di sudore e di ansie”. L’indistinto urbano di molte aree continua ad essere il medesimo. Ad essere mutata è solo la sua topografia. Davvero troppo poco perché Roma possa dirsi una Città moderna.
26 Settembre 2012