MamboMario Draghi, l’unico esempio di “potere normale” che parla italiano

Il Pd rischia di restare vittima delle proprie contraddizioni (o macchinazioni, come amava dire il vecchio Aldo Tortorella, dirigente storico del Pci e intellettuale raffinatissimo). Renzi, infatti...

Il Pd rischia di restare vittima delle proprie contraddizioni (o macchinazioni, come amava dire il vecchio Aldo Tortorella, dirigente storico del Pci e intellettuale raffinatissimo). Renzi, infatti, ha fatto appello agli elettori del centro-destra delusi da Berlusconi. Legittimo e anche giusto. Chi vuole vincere deve contare su una quota parte di votanti che lascia la parte avversa e viene in suo soccorso. In tutto il mondo questa caccia al disertore è accompagnata dalla ricerca del pieno dei voti del proprio campo. Qui la sostituisce. È l’Italia, bellezza. Se una folla di elettori di centro-destra si stanno accingendo a votare Pd (cosa che ritengo altamente Improbabile), è giusto che possano votare alle primarie. Abbiamo così la classica situazione in cui il voto di destra determina il candidato di sinistra. Se vi fosse un vincolo, cioè un impegno morale sottoscritto, per cui l’elettore delle primarie si impegna a votare per lo schieramento alle cui prove di democrazia partecipa, tutto sarebbe limpido. Invece no. Il probabile elettore di centro-destra potrà votare il candidato del centro-sinistra ma un minuto dopo ripensarci e tornare a votare Berlusconi. Servirebbero allora regole per le primarie.

Ma se si adottano regole per le primarie saltano su i democrats integralisti guidati da Arturo Parisi che sono per la democrazia non diretta ma direttissima. Quindi Bersani è in un bel vicolo cieco. E Renzi, furbone, lo sta mettendo nella situazione di apparire vecchio perchè appoggiato dai vecchi elefanti e restio a primarie fai-da-te. La cosa buffa è che quelli che vogliono le primarie liberissime si sono battuti per averle blindatissime, penso a Prodi e Veltroni che imposero gare fittizie per avere il plebiscito. Comunque la si giri la vicenda del Pd appare singolare. Da un lato dà vita all’unico momento reale di partecipazione politica di massa. Dall’altro lo gestisce con tale approssimazione e confusione che invece di fare chiarezza solleva dubbi e contrasti acutissimi. Il risultato è che il maggior partito del prossimo parlamento passerà due mesi a discutere di deputati da rottamare e di primarie da riformare mentre l’Europa è appesa al risultato italiano e guarda con stupore un mondo politico che non discute del futuro dei propri cittadini se non come argomento retorico. Del resto il giorno dopo l’autocandidatura di Renzi la discussione che si sta sviluppando è già abbastanza scoraggiante.

Le invettive reciproche sono sempre le stesse e l’idea che per due mesi ci dovremo sorbire la retorica nuovista, le ambizioni giovanilistiche, l’accanita resistenza dei vecchi fa apparire il Pd una minestra immangiabile. In America alcune settimane fa si sono scontrati sullo stato sociale con proposte alternative. Qui è tutto un dire e non dire. Siamo un paese di fenomeni. Prevalentemente da baraccone. In Francia stanno eleggendo un nuovo segretario del partito socialista, successore di Martin Aubry. Ha cinquantadue anni, ha diretto Sos Racisme, non la segreteria politica di un deputato di Firenze o di Roma, è europarlamentare, sarà scelto dagli iscritti perché nel paese che ha fondato la democrazia moderna chi vota ci mette la faccia e non partecipa alle primarie come se fosse il cinematografo dove si paga un biglietto e si gode lo spettacolo. Qui da noi è tutto diverso. E’ l’anomalia italiana sulla quale ci trastulliamo. Meno male che all’orizzonte c’è Mario Draghi.   

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