Sull’inizio della carriera d’allenatore (non allenatore) in massima serie non ci avrebbe scommesso neanche lui (ogni riferimento sullo scommettere è voluto e fatto apposta).
Da calciatore (proprio con la Juventus) giocava a libero. Libero da marcature fisse, libero da schemi (ai suoi tempi anche il calcio lo era ancora o forse aveva l’illusione di esserlo) da allenatore un po meno. Una carriera agonistica a colori, quella in panchina iniziata in bianco e nero. E’ entrato in campo a freddo, senza fare riscaldamento. Tolta la tuta ha messo quella di allenatore precario, a scadenza come uno yogurt.
Quando giocava non si faceva dribblare, adesso è costretto a dribblare le strisce bianche e nere della vecchia signora. Nera l’ombra di Antonio Conte che arieggia su di lui, bianca la pagina di una carriera ancora da scrivere. Nera la considerazione della società che non vede in lui oltre che un collaboratore tecnico, bianca arrendevole e sbilenca la dichiarazione di John Elkann, quando lo ha usato come parafulmine contro lo spauracchio Zeman.
Il ragazzo però si impegna, riesce a far peggio d’avanti alle telecamere negando l’evidente (vedi favori arbitrali) commentando gare che si allontanano dalla realtà (vedi la caccia all’uomo travisata nella finale di supercoppa contro il Napoli) e alla prima litigata con un collega sfodera il curriculum e auspica sarcastici successi.
Alla vigilia della gara contro l’Udinese ha dichiarato che preferisce essere definito un “antipatico vincente” piuttosto che un “simpatico perdente”. Ecco sull’antipatia ci siamo e per essere sinceri pure sul vincente: Un trofeo in bacheca e sei punti i centottanta minuti, gli restano da giocare altre otto partite per allungare la scia da vincitore. Anche se una domanda viene spontanea: Il merito è suo o dell’allenatore della Juventus?