ANCHE MODUGNO LO HA FATTO
Suonare a Belgrado per una band italiana è un’esperienza che trova radici in un passato sconosciuto a più. Negli anni ’50, dopo il progressivo distacco di Tito dalla Russia, la Jugoslavia cominciò a strizzare l’occhio al mondo capitalista, costruendo ponti con l’Italia anche a suon di canzonette e musica leggera Italiana. Il Bel Paese era da poco entrato nell’orbita americana e conosceva per la prima volta il boom economico. Erano gli anni spensierati del mito del progresso, il cui luccichio raggiungeva gli occhi dei vicini jugoslavi anche grazie alla diffusione via etere del Festival di San Remo. Musica leggera e rock italiano cominciarono ad essere apprezzati dai nostri vicini, come dimostra la traduzione di molti successi italiani dell’epoca, uno tra tutti Ventiquattromila baci di Celentano, diventata per l’occasione Bezbroj poljubaca.
Si tratta per lo più di jazzisti e musicisti di livello, che armati di ottoni e fisarmoniche mettono in piedi un repertorio da banda zingara, si vestono con un look jugo d’annata e animano feste danzanti con ensemble volutamente sgangherati, cori arrugginiti e strumenti ubriachi. Un bel putiferio.
I miti cambiano. Quando la musica italiana entrava in Jugoslavia lo faceva per propagandare uno stile di vita votato al benessere economico, quello che Tito sperava di dare al paese. Ora la storia ci presenta un conto da pagare in dinari.
BELGRADO BY NIGHT E SIGARETTE
Il Krokodil si conclude col nostro concerto. Subito dopo siamo rapiti da una vispa connazionale che vive qui a Belgrado da mesi lavorando come lettrice d’italiano. Sale con noi in furgone per portarci lungo il Danubio.
Verso un interminabile riga di chiatte all’ormeggio trasformate in locali notturni. In uno di questi, uno zatterone da cui sporge una polena raffigurante Michael Jackson pericolosamente inclinato sul fiume, l’organizzazione del Krokodil sta festeggiando la fine dell’evento. Il posto promette bene. Dentro si suda e si festeggia.
Riesco a dar fondo al pacchetto di sigarette comprato a Belgrado mentre sto sulla passerella che guarda il fiume. Marca estera, multinazionale, trovata a prezzo bassissimo, sapore decisamente particolare e ben diverso da quello che fumi in Italia. Mi viene in mente lo scrittore Paco Ignacio Taibo II, famoso per essere un intenditore di Coca Cola. Lo scrittore riesce a distinguere la località di produzione della bevanda al primo assaggio e ne consuma qualcosa come tre litri al giorno. A chi critica la sua abitudine politicamente scorretta, Taibo ricorda che anche Che Guevara apprezzava la bevanda al punto da volerla con sé durante la guerriglia. Accendo la sigaretta e guardo scorrere il Danubio. Mi chiedo da dove verrà questa porcheria col suo particolare gusto doppio catrame. Ben che vada sarà stata portata attraverso l’Adriatico su quei motoscafi che trasportano le sigarette in Montenegro, per poi risalire lungo i Balcani fino ad arrivare al chiosco di Belgrado in cui l’ho comprata. Negli ultimi anni il contrabbando è aumentato parecchio a causa della guerra e dell’embargo. Non è una novità: la guerra aiuta sempre chi si muove nell’ombra, e sul conflitto jugoslavo ci hanno lucrato in molti, in un giro di soldi che tira dentro buona Europa, Russia e prosegue sbilenco lungo sentieri che si affossano tra i traffici sotterranei di mezzo mondo. Anche la mafia locale non può lamentarsi in quando ad entrate. In molti ora denunciano investimenti di capitali illeciti nella telefonia, nei centri commerciali, nello smaltimento dei rifiuti, oltre ai grandi classici di sempre: droga, armi e sigarette per l’appunto. Dopo un’altra boccata la sensazione di catrame in bocca aumenta di pari passo con i miei pensieri, mentre nel locale il resto della ciurma continua a ballare e divertirsi. Mi chiedo ancora da dove possa provenire la sigaretta che sto fumando. Forse dalla Cina, che possiede il 40% del mercato mondiale di tabacco e, a quanto dicono le indagini della polizia italiana, è un paese emergente nel contrabbando internazionale delle bionde. Le analisi dei NAS avvertono che le paglie cinesi contengono un po’ di tutto, da trucioli di metallo a sterco e insetti, fino a tracce d’imprecisato materiale radioattivo. Preferisco non sapere a cosa sia dovuto il sapore asfaltato della cicca che ho appena spento. Stando a Paco Ignacio Taibo II il sapore della Coca Cola varia in rapporto alle miscele di acqua e gas che usano i vari paesi per diluire lo sciroppo madre, ed il rischio maggiore che si corre a berla è che gli operai ci abbiano pisciato dentro per protesta, come pare possa avvenire in Latino America. Poca cosa in confronto ai rischi con le bionde.
Raggiungo gli altri nel locale con quattro cose chiare in mente: che il Che Guevara beveva Coca Cola e mirava a nazionalizzarla come i sigari; che la Cina ha nazionalizzato quasi metà del tabacco del mondo e falsifica le sigarette che ci rivende sottobanco; che Paco Ignacio Taibo II continua a trincare tre litri di Coca Cola al giorno e gli piace tantissimo. Che io appena torno a casa smetto di fumare.