Città invisibiliAnche a Volterra, l’archeologia è d(‘)annata

In tempo di spreed, di bond, di high frequency trading, di fiscal compact e molto altro, legato a doppio filo alle deboli economie dei singoli Paesi, l’Italia, ha la necessità di prestare grande at...

In tempo di spreed, di bond, di high frequency trading, di fiscal compact e molto altro, legato a doppio filo alle deboli economie dei singoli Paesi, l’Italia, ha la necessità di prestare grande attenzione ai propri conti. Legittimo. Anzi, doveroso. Ma in questa laboriosa operazione di rianimazione si sta tralasciando di prestare l’attenzione che merita al comparto dei Beni Culturali. Di rivitalizzare il Patrimonio storico-archeologico che continua a sopravvivere, nella quasi totalità dei casi, quasi per proprio conto. In alcune circostanze ad auto-conservarsi, eroicamente. Ancora. L’Italia non si ferma (ne inizia) a Pompei, dove il cospicuo finanziamento europeo, potrebbe assicurare un futuro meno incerto. Esiste un “altrove”, dal Nord al Sud, naturalmente al Centro, costituito da città, grandi e piccole aree archeologiche, singoli monumenti, che continuano a soffrire. Nelle circostanze più fortunate, contando almeno su una qualche visibilità mediatica. Il più delle volte, nel silenzio. A Roma, come a Paestum, ad Egnazia come nella Valle dei Templi, ad Agrigento, come a Pantalica, a Nola come a Lanuvio. E, ancora, a Cerveteri come a Segesta. Un cahier de doleance inesauribile ed in progressivo accrescimento. Storie di incuria e degrado, erbacce e servizi insufficienti. Storie di un’archeologia verso la quale, nella realtà dei fatti più che nel susseguirsi dei proclami, si riscontra un perdurante disinteresse. Quasi si trattasse di un settore dannato. Condannato dal destino ad esaurire, lentamente, le sue testimonianze.
E’ quanto sembra accadere anche a Volterra, importante sito etrusco, soprattutto strutturato centro romano ed ora cittadina caratterizzata dai suoi edifici medievali e dalle sue strette stradine. Dell’antica grandezza rimangono ampi resti delle mura di IV secolo in opera quasi quadrata e, al Piano del Castello, l’antica acropoli, resti di due templi, disposti uno accanto all’altro, oltre ad alcune cisterne. Tra i monumenti visibili, in località Vallebuona, al di sotto delle mura medievali, è il teatro augusteo, il quale si appoggia al pendio e guarda verso nord. Una visita al monumento basta per rendersi conto di quale sia il suo stato. Erbacce ovunque, diversi gradini della cavea evidentemente “slittati” in avanti. Tettoie sorrette da tubi innocenti che provvedono a costituire riparo ad alcuni resti. Esempio al contrario di come la valorizzazione dei Beni Culturali dovrebbe esplicitarsi per rispondere efficacemente al proprio ruolo.
Il teatro che, con altre aree archeologiche, è affidato al Comune di Volterra tramite una convenzione con la Soprintendenza della Toscana, dal luglio del 2012 è stato dichiarato inagibile. Impedendo lo svolgimento del decimo festival internazionale del teatro, diretto dal regista-editore volterrano, Simone Migliorini. In sostanza facendo calare, ancora di più, il crepuscolo sul monumento dissotterrato nel 1950 da Enrico Fiumi, allora direttore del locale Museo archeologico.
Ma non è tutto. Purtroppo. Nel centro etrusco, sopra le valli del Cecina e dell’Era, esiste anche uno dei più antichi musei pubblici europei. Il Museo Guarnacci, nel Palazzo Desideri-Tangassi. Uno spazio espositivo che accoglie tra le più importanti raccolte di reperti etruschi in Italia, dopo quella di Villa Giulia a Roma. Circa 600 urne funerarie, ordinate secondo i motivi rappresentati, la testa “Lorenzini”, la stele di Avile Tite, la collezione di ceramiche etrusche, la sezione preistorica con i reperti villanoviani e la sezione romana con due ritratti di Augusto e altri ritrovamenti. Insomma un patrimonio dalle potenzialità “turistiche” quasi infinite. Eppure il Museo, di proprietà comunale, è in caduta libera. Dal 2010 al 2011 ha perso 4.432 visitatori. Che diventano molti di più se si raffrontano con le cifre degli anni Novanta. Il che si traduce con incassi insufficienti a garantire tutto quello che non rientri nell’ordinaria manutenzione. Numeri che trovano ampia giustificazione visitandolo. Illuminazione insufficiente, vetrine impolverate, pavimenti malmessi e scrostati. Senza parlare dell’allestimento museografico, molto più vicino ai canoni ottocenteschi che agli standard attuali.
Progetti ce ne sono. Ma concretamente ancora niente. Nel 2011 quello di un nuovo Guarnacci, da realizzarsi nell’ex Conservatorio San Pietro. Un’operazione da 14 milioni di euro, 19 con gli arredi. Ora, a cura del Comune, quello di recupero dell’esistente, con un ampliamento di 3mila metri quadrati. Con un costo di 5 milioni di euro.
Anche qui, nella città nella quale l’arte ha davvero tante espressioni, sembra difficile stringere quel patto civile, dal quale può prendere avvio la rinascita. L’uscita dal letargo e dal vecchiume.
Torna in mente una delle Satire di Persio, il poeta che proprio a Volterra nacque nel 34 d. C. Le antichità volterrane, come tutte quelle disseminate per il Paese assomigliano tanto a quei falsi poeti, applauditi ed incoraggiati, illusi con facili lodi. Ma sbeffeggiati alle spalle. Insomma quel che accade ai monumenti di Volterra, come a tanti altri.
L’archeologia continua a sembrare destinata ad un futuro di sempre più grande precarietà. Quasi fosse dannata.

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