L’Anno della Fede – che si aprirà giovedì, 11 ottobre in Piazza San Pietro a 50 anni esatti dall’inizio del Concilio Vaticano II – non è un evento tra i tanti del pontificato di Papa Benedetto XVI ma ne rappresenta, in un certo senso, il cuore e la cifra distintiva.
Già nel 2009, nella lettera indirizzata ai vescovi sulle polemiche circa la revoca della scomunica ai lefebvriani, Ratzinger scrisse chiaramente: «Oggi, in vaste zone della terra, la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». E ancora: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini». Parole dure, drammatiche, chiare. Stupisce che all’epoca non trovarono l’eco che avrebbero meritato.
Il mondo, giustamente, si occupa di Vatileaks, maggiordomi infedeli, scandali vari, nomenklatura e gerarchie. Ma tutte queste cose non sono altro che mezzi – imperfetti, certo, e sempre riformabili – a servizio dell’unico, vero obiettivo della Chiesa e del Vicario di Cristo: l’annuncio che il Vangelo non è un’illusione ma una verità su cui è ragionevole e razionale basare la propria vita.
Obiettivo scontato, si dirà, per i credenti e lo stesso clero. E invece no. Nella travagliata stagione del postconcilio, all’interno della Chiesa si è discusso, talvolta anche aspramente, sulla “riorganizzazione” della istituzione e sul Vaticano, la funzione del papato, il ruolo dei laici e delle donne, il celibato dei preti, l’ecumenismo, i cattolici in politica, l’impegno politico da trarre dal Vangelo. Tutte cose giuste, certo, ma in pochi si sono interrogati sull’essenziale: se è ancora possibile, e in che modo, per l’uomo post-moderno credere alla verità del Vangelo, scommettere, per dirla con Pascal, su quell’Uomo che duemila anni fa si proclamò “Via, verità e vita”. Per questo, occorre un nuovo impegno da parte della Chiesa perché la fede torni ad essere lievito permeando tutti gli ambiti della vita di oggi: dalla scienza allo sport, dalla politica all’impegno sociale, dalla cultura fino al mondo del volontariato.
Non è un certo un caso, quindi, che come Paolo VI consegnò al termine del Vaticano II dei messaggi al Popolo di Dio, Benedetto XVI faccia lo stesso a conclusione della celebrazione eucaristica di apertura dell’Anno della Fede. I messaggi saranno dati ai governanti, agli uomini di scienza e pensiero come Fabiola Giannotti, fisico di ricerca del Cern, responsabile dell’esperimento “Atlas”, ovvero la prima osservazione di una particella compatibile con il “bosone di Higgs”.
Agli artisti come il compositore scozzese James MacMillan, allo scultore Arnaldo Pomodoro e al regista Ermanno Olmi. Alle donne, come per esempio l’atleta paralimpica Annalisa Minetti, o Jocelyne Khoueiry, fondatrice di un movimento di donne libanesi che hanno a cuore l’educazione dei giovani. I messaggi ai lavoratori saranno consegnati a Luis Alberto Urzúa Iribarren, uno degli operai cileni rimasti intrappolati per più di due mesi nella miniera di San José, ma anche a Renato Caputol e Flor Ventura con i loro quattro figli, lavoratori immigrati in Italia dalle Filippine 23 anni fa. Una crocerossina e membri dell’Unitalsi riceveranno il messaggio del Papa per i poveri, gli ammalati e i sofferenti. Benedetto XVI consegnerà il testo anche a Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente nazionale dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, mamma di Valeria, morta in un incidente stradale a 17 anni.
Persone tra le più diverse, scelte da ambiti anche estranei o lontani dalla Chiesa, ma che rappresentano concretamente quel cristianesimo di popolo che nella vita quotidiana anche oggi vive la fede con coerenza, impegno, entusiasmo. Spesso, come accade in molti paesi dell’Africa e dell’Asia, anche a costo della propria stessa vita. Sono queste le “legioni” a cui guarda Benedetto XVI per condurre la sua battaglia contro lo spirito del tempo e far sì che i cristiani tornino non ad essere maggioranza in Europa o nel mondo ma, evangelicamente, lievito, luce, sale pur essendo, statisticamente, minoranza.
Il tramonto della cristianità non è il tramonto del Cristianesimo e di quella scommessa sul Vangelo che ad ogni generazione, per pochi o tanti non importa, misteriosamente si rinnova.