Il Pd può andare avanti per due mesi circa, tanti ne mancano alle primarie, con uno che gira l’Italia chiedendo di cacciare dal parlamento i suoi compagni di partito e questi e il segretario del medesimo partito che stanno zitti ad aspettare gli eventi? Il tema della rottamazione è sempre più il motivo conduttore della campagna elettorale di Renzi ed è forse l’unico motivo conduttore dell’intera campagna anche degli altri competitor. Sarebbe normale che si dedicasse più attenzione alla crisi dell’auto e dell’acciaio, che il vincolo europeo suscitasse una discussione sull’Europa politica o sulle piccole patrie, che di liberismo e statalismo di discutesse senza passioni scolastiche.
Invece no, si deve discutere di D’Alema e Veltroni, sempre loro, anche se questa volta non già divisi e contrapposti ma uniti nell’invettiva del candidato più mediatico e ignorati da quello più accreditato. Qualcuno deve fermare questa spirale che appassiona la politica come accade in tutti i derby o scontri personali, inutile disturbare Coppi e Bartali, Rivera e Mazzola e via dicendo, ma che non aggiunge nulla all’immagine del Pd e alle sue credenziali per governare. Renzi ha detto la sua. Piaccia o no, ha detto la sua. I principali suoi imputati tacciono, anche se fanno trapelare che il loro destino è nelle mani del loro partito, che sia lui a decidere se devono continuare o no. L’esperienza del passato non li aiuta. Quando dirigevano loro, i vecchi li rottamavano alla grande anche dopo una piccola aritmia, ricordate il povero Natta? Non si capisce, però, che cosa possa aggiungere al prestigio del Pd la loro esclusione. Se non un dato di rottura con il proprio passato. Come dire che ci sono solo macerie e che in vent’anni non si è combinato nulla di buono. Chi è convinto lo dica, invece di fare battaglie solo sui nomi.
Tuttavia i rottamandi non mollano, almeno per ora, e neppure parlano. Tace anche Bersani che alcuni cronisti danno come disposto a fare un patto con Renzi per sacrificare i suoi grandi elettori, cioè D’Alema e anche quelli che non lo sono, cioè Veltroni. Qui il silenzio è davvero incomprensibile e per tanti aspetti intollerabile. Bersani ha difficoltà a pronunciarsi sul tema? Comprensibile, ma se si fa il leader si devono trattare dossier difficili. Sarebbe opportuno che dicesse a brutto muso se è d’accordo o no con Renzi. Se lo è, inviti i suoi a lasciare il passo. Se non lo è, li difenda e spieghi perché.
Parliamo di due o tre nomi, perché il vero problema della rottamazione è che non investe i due fratelli-coltelli del dopo Occhetto, ma un nugolo di loro seguaci che credono anch’essi di essere indispensabili al paese. Non faccio i nomi per carità di patria ma sono stati tutti negli organismi esecutivi dei vari partiti, ministri o sottosegretari. Bersani dovrebbe dire, se vuole contrastare Renzi e non assecondarlo, che può salvare D’Alema e Veltroni, e già che c’è anche la Bindi, ma che tutti gli altri li mette via. Il paese non ne soffrirà. Invece il silenzio può far danno.
Da elettori preferiremmo un segretario più presente sui media dei suoi supporter (l’intervista di oggi di Chiara Geloni a Luca Telese su “Pubblico” o l’articolessa di Fassina sul “Foglio” contro Monti sono state più dannose di un nugolo di cavallette d’estate), e più in palla sui temi caldi. Dica quel che deve dire sulla rottamazione e poi la chiuda lì e parli dell’Ilva e della Fiat, dell’Europa federata e della crescita. Imponga, come dicono gli specialisti di politica, la sua agenda: anche per capire se Renzi specialista indiscusso nella biografia di chi vuol rottamare sa anche qualcosa di questo paese che vuole dirigere.