E’ una coincidenza sinistra quella che accomuna il compleanno di Vladimir Putin all’anniversario dell’uccisione di Anna Politkovskaja.
Se la giornalista russa, assassinata il 6 ottobre 2006, fosse ancora viva avrebbe cinquantaquattro anni e continuerebbe a scrivere pagine di verità intorno a quello che succede davvero in Russia, raccontando fatti che il mondo intero ignora. Ma purtroppo per noi, la penna sagace e puntuta di questa donna appassionata è stata brutalmente fermata da cinque colpi di pistola, in un ascensore, mentre rientrava a casa; inutile aggiungere che i mandanti e gli esecutori materiali sono rimasti ignoti, nonostante sia stato celebrato un processo, conclusosi nel 2009 con l’assoluzione dei quattro imputati.
Di Anna Politkovskaja ci restano fotografie, interviste, libri e oltre duemila articoli che raccontano i drammi della guerra in Cecenia, la strage al teatro Dubrovka di Mosca del 2002 e quella avvenuta a Beslan, nel 2004, in cui morirono 394 persone, tra cui 156 bambini. Il talento di Anna era quello di raccontare la storia della gente comune, con la voce di chi non aveva voce, senza mai essere di parte; per questa ragione era anche stata arrestata, picchiata, perfino avvelenata.
Se fosse ancora viva, chissà come avrebbe raccontato le elezioni-farsa che, nel maggio scorso, hanno portato Putin a riconquistare la presidenza, succedendo al fidato Medvev? E quali parole avrebbe usato per raccontare il dramma delle Pussy Riot? Non lo sapremo mai.
Quello che sappiamo invece è che oggi in pompa magna viene festeggiato, con cortei e manifestazioni in tutto il Paese, il sessantesimo genetliaco di Vladimir Putin, mentre il resto del mondo continua a rimpiangere quel giornalismo onesto, imparziale e coraggioso, che non ha paura di perseguire la verità e di raccontarla senza sconti ed edulcorazioni.
Ma insieme ad Anna Politovskaja, sei anni fa, ad essere uccisa è stata soprattutto la speranza, quella che la Russia possa liberarsi dei fantasmi del passato e diventare una grande democrazia rispettosa dei diritti umani. Ed è ancora più avvilente, in giornate come queste, pensare che nella patria di Dostoevskij possano esistere delitti senza castigo.