Vedere un video che mostra un bambino di dieci anni mentre viene trascinato di forza dalla polizia fa male. Fa male perché mentre le immagini scorrono, la mente scava inevitabilmente nella propria infanzia, triste o felice che sia stata, senza trovarvi un episodio almeno paragonabile. Siamo tutti ormai un po’ assuefatti ad immagini di violenza, ma la libertà e l’ incolumità di un bambino riposano in una dimensione altra rispetto ai princìpi che toccano noi adulti. Ecco perché, sentire quelle grida, vedere quel filmato, lascia inevitabilmente perplessi e sconfortati.
Leonardo è un bambino, come tale non può per suo stesso essere avere colpe, di nessun tipo e in nessun caso. Non c’è principio giuridico, legge o provvedimento giudiziario che possa moralmente giustificare quanto avvenuto mercoledì a Cittadella. Trattato come un criminale dalla polizia, come un animale domestico dai genitori, Leonardo è vittima di un odio di cui senza motivo dovrà pagare il prezzo del ricordo per tutta la vita.
Non intendo soffermarmi sul merito della questione giuridica e nemmeno prendere le difese di uno dei genitori. Questa volta, le conseguenze vengono troppo brutalmente prima degli avvenimenti in oggetto ed impongono di collocare nella schiera dei colpevoli tutti, protagonisti e comparse dell’ assurda vicenda.
Dobbiamo riflettere in maniera approfondita, invece, su quei poliziotti che hanno agito. Come hanno trovato la forza morale di prendere di forza un bambino? Come ha potuto un ordine del tribunale prevalere sul loro buon senso? Come ha potuto quella poliziotta, madre anch’ella, resistere alle suppliche del bambino? Non ci sono risposte oggettive a queste domande. Per quanto retoriche infatti, qui si sconfina nel campo della coscienza, riguardo la quale ciascuno di noi non può produrre altro che opinioni.
Riguardo queste però, possiamo lecitamente fare le nostre considerazioni.
Le scuse di Antonio Manganelli (Capo della Polizia dal cognome quanto mai premonitore) lasciano in bocca un gusto amaro, così come credo lascerebbero – nel caso in cui dovessero arrivare – quelle dei diretti responsabili. C’è bisogno di atti concreti che vadano nel senso opposto rispetto a quanto è stato fatto. Non abbiamo bisogno di scuse. Ecco perché forse addirittura irritante è stata l’esagerata moderazione del Ministro Cancellieri. Riluttante nel prendere una qualsiasi posizione sulla vicenda, anziché dare credibilità alle istituzioni dando un forte segnale di cambiamento (visto che le rappresenta, in quanto di Ministro dell’Interno), ne ha messo in luce la debolezza. Tutto ciò è non solo riprovevole ma anche preoccupante: una politica che non sa indirizzare non è politica. Il vocabolario della politica non dovrebbe contemplare – proprio per definizione – l’ignavia. Siamo tutti stufi del “vediamo che succede”, primo fra tutti Leonardo. Che a dieci anni non sa ancora di chi può essere figlio.
LEONARDO MARCHESINI
per Wilditaly.net