Qualcuno mi chiede come mai io parli tanto di sport, qui di calcio in particolare. Perché, rispondo, lo sport è vita. Raccontare lo sport è raccontare la vita. Ovviamente se sei Norman Mailer o Gianni Minà ti viene meglio, su questo non c’è nulla da aggiungere.
Stamattina ho aperto Repubblica e mi sono goduto il paginone dedicato a Stephan El Shaarawy, giovane attaccante del Milan, e alla sua storia. Bello, ve ne consiglio la lettura. Mi ha impressionato il titolo: «Io non mi stanco mai». Nell’articolo c’è un virtgolettato che potrebbe essere una manifesto generazionale: «Quando è finita la partita (si riferiva al 3-2 di Champions a San Pietroburgo, ndb), non ero stanco per niente: avrei giocato subito un altro tempo. Mi sono sentito felice, non ho avvertito pressioni. Non vedo l’ora che arrivi il derby».
Non vede l’ora di giocare. Come accadeva a noi quando eravamo ragazzini, si giocava otto-nove ore al giorno, fin quando qualche adulto non ti veniva a recuperare. Altrimenti saremmo andati avanti anche di notte. Il piccolo faraone, che in realtà è di Savona, mi ha ricordato un’epoca che sembra ormai tramontata. Mi ha fatto tornare in mente la passione. Da quanto tempo non ascoltavo queste parole? Forse uno degli ultimi giocava proprio nel Milan, Pippo Inzaghi. L’unico, del resto, che quando segnava (spesso) esultava come i ragazzini per strada.
Mi piace il 19enne El Shaarawy, mi piace il suo atteggiamento contrapposto all’indolenza dei suoi coetanei che pure giocano a pallone in grandi squadre. Che al primo gol si atteggiano a piccoli Maradona. Viva il modello El Shaarawy contro i bamboccioni.