A mente freddaIl paradosso delle primarie: più il risultato è aperto, meno gente si vuole coinvolgere

Ho già espresso giorni fa le mie perplessità sul modo in cui è stata trattata la questione del regolamento delle primarie di coalizione del centro-sinistra, e si può dire che lo sviluppo successivo...

Ho già espresso giorni fa le mie perplessità sul modo in cui è stata trattata la questione del regolamento delle primarie di coalizione del centro-sinistra, e si può dire che lo sviluppo successivo della situazione abbia contribuito a confermare pienamente i miei timori. Altre voci, anche decisamente più autorevoli e visibili di me, nei giorni successivi hanno continuato a guardare a quanto stava accadendo con legittima e ragionevole diffidenza, nella sostanza riprendendo alcuni argomenti che avevo fatto miei. Ma credo che, come ci si aspetta dalla mission del mio blog, che sia il caso di tornare sulla questione per ragionare su una serie di fatti e problemi che non riguarda esclusivamente il caso in questione, nel tentativo di offrire un contesto più completo a cui guardare per capire il significato di quanto ci accade intorno.

Parto dalla rilevazione statistica più recente, il sondaggio SWG esposto il 12 ottobre ad Agorà, soffermandomi solo sul dato che, nelle difficoltà della valutazione del voto alle primarie, risulta più affidabile. Con le nuove norme, sulla base di quanto affermato dal campione circa la volontà di partecipare al voto risulta prevedibile un’affluenza di 3,3 milioni di elettori.

Un raffronto coi dati (in questo caso reali, ovviamente) delle precedenti consultazioni paragonabili può essere suggestivo. Nell’ottobre del 2005, nell’unico vero precedente di primarie di coalizione del centro-sinistra per un candidato alla presidenza del consiglio, quello vinto a mani basse da Prodi, si è registrata un’affluenza di 4,3 milioni di persone circa, un milione in più di quanto si prevede si recheranno ai seggi tra una quarantina di giorni. Esattamente due anni dopo si è tenuta una consultazione popolare simile, per quanto non direttamente assimilabile a una primaria (era infatti organizzata per scegliere il segretario del neocostituito Partito democratico, non immediatamente il candidato di parte a una carica istituzionale), ed è uscito vincitore Walter Veltroni con una percentuale ampiamente maggioritaria da un voto a cui hanno partecipato 3,5 milioni di persone. Passano ancora due anni, e nell’ottobre 2009 Bersani viene eletto segretario del PD con la partecipazione di 3,1 milioni di elettori a una consultazione seguita e collegata su base regolamentare a quella avvenuta, tra i soli iscritti, in sede di composizione dell’assise congressuale.

Il fatto che le primarie previste a fine novembre 2012 siano di coalizione, e quindi prevedano, probabilmente, la partecipazione di almeno 350-400.000 elettori delle file di SEL intenzionati a partecipare per il sostegno alla candidatura di Vendola, sembrerebbe rendere queste consultazioni le meno coinvolgenti nella breve, ma già intensa storia delle primarie nel centro-sinistra. Tutto ciò, secondo me, stimola due conclusioni:

  • come ho già detto, le elezioni primarie rappresentano sicuramente il principale elemento di novità messo in opera dalle forze politiche italiane, nell’ultimo decennio, per sovvenire alla disaffezione dell’elettorato verso la politica e per sperimentare nuove forme di partecipazione alla scelta dei candidati e delle policies, di fronte all’esaurimento dell’esperienza dei “classici” partiti di integrazione sociale. Per queste ragioni, il loro successo è profondamente legato alla capacità di coinvolgere elettori al voto e, di conseguenza, a tutte le attività preparatorie di stesura, rifinitura, confronto e discussione dei programmi e dei possibili organigrammi. Conseguire una partecipazione limitata quando sarebbe stato possibile maturare una mobilitazione maggiore (e quindi una maggiore potenziale affezione dell’elettorato in vista delle politiche), è un insuccesso, che una forza politica che intende svolgere al meglio il suo compito nella competizione elettorale arrivando con maggiore probabilità al successo e aggregando attorno a sé il maggior consenso dovrebbe prima cercare di evitare. Ricercare deliberatamente un risultato fallimentare nel coinvolgimento popolare con le primarie significa non aver compreso nulla del meccanismo che si sta utilizzando, e quindi essere destinati a non trarne vantaggio, persino a vivere effetti controproducenti.
  • La piccola disamina dell’affluenza alle consultazioni fatta in precedenza evidenzia un risultato paradossale: le primarie in cui si è avuta più affluenza sono state quelle con un unico candidato accreditato di reali possibilità di vittoria, mentre la partecipazione ha mostrato una tendenza a scendere proprio nei casi (2009 e, stando alle previsioni, 2012) in cui il confronto è stato o si preannuncia più aperto e incerto. Quando insomma la possibilità di incidere da parte degli elettori delle primarie si fa più concreta e la possibilità dei vertici dei partiti di prederminare gli esiti della competizione è minore, stranamente gli elettori si sentono meno propensi a partecipare. Si tratta di un meccanismo assolutamente opposto a quanto di solito accade, nel resto del mondo, in occasione di pratiche elettorali di questo tipo, e del resto anche il semplice buon senso suggerisce che un elettore è spronato ad andare a votare soprattutto quando con la sua partecipazione può effettivamente decidere qualcosa. Il fatto che gli enti organizzatori delle primarie abbiano provveduto a imporre le regole più restrittive nella selezione delle candidature e nell’elettorato attivo proprio nei due casi in cui l’esito delle elezioni è parso più incerto sicuramente è correlato a questo apparente paradosso, e probabilmente il comportamento dei partiti non è stato casuale.