I sostenitori di Bersani e lui medesimo sono fuori dal mondo. Anche un bambino sapeva che il cambiamento delle regole di voto nelle primarie, a poche settimane dallo svolgimento della consultazione, avrebbe suscitato un vespaio mettendo a rischio persino, come teme Walter Veltroni, l’esistenza del Pd. Adesso correre ai ripari si presenta impresa quasi disperata. Se Bersani e i suoi geniali suggeritori rinunceranno alle nuove regole daranno prova di essere dei dilettanti, se si intestardiranno rischiano di sfasciare un partito che l’attuale segretario era riuscito, con grande fatica e generosità, a tenere unito.
Se, perché esiste anche questa ipotesi, le nuove regole venissero proposte all’assemblea nazionale di sabato ma non riuscissero a passare anche per mancanza di numero legale, saremmo di fatto di fronte a una crisi irrisolvibile.
Tutto questo accade mentre i sondaggi danno il Pd in testa, anche se non con risultati travolgenti, e il PdL prossimo alla scissione.
Il fatto è che può accadere al Pd quello che è accaduto ai partiti della prima repubblica quando cadde il Muro di Berlino. Allora la fine del vincolo esterno fece venire meno la costituency dei partiti di governo che persero la ragione della propria esistenza in chiave anticomunista. Questa volta la fine politica di Berlusconi sta facendo venire meno l’obbligo di tenere assieme forze diverse in nome del pericolo rappresentato dal Cavaliere e da Bossi e spinge molti attori del teatro piddino a guardarsi attorno e a sentirsi liberi di andare dove gli pare. Spetta in questo quadro a Bersani il ruolo di Gorbaciov, il mite segretario armato di buone intenzioni che si rivelò non solo al di sotto del problema che lui stesso aveva sollevato ma anche incapace di tenere insieme le forze che con la sua politica liberale aveva evocato. Renzi è Eltsin, rinnovatore radicale ma anche costruttore di uno stato che per molti aspetti impresentabile.
Ma torniamo alla sfida di sabato. I geniali suggeritori di Bersani obiettano che se si può cambiare la regola che sancisce che il segretario è il candidato ufficiale del partito, si può cambiare anche quella che prevede primarie senza disciplina. Inoltre c’è il rischio concreto che a queste partecipino elettori di destra entusiasti di Renzi ma non decisi a votare il Pd nelle cosiddette secondarie. Sono due buone ragioni. Ma ve ne accorgete ora? Non potevate cambiare le regole ad aprile, a maggio, comunque prima? Si sapeva che si sarebbe dovuti andare al voto, prima o poi (è un obbligo costituzionale). Si sapeva che Renzi aveva in animo di partecipare.
La verità è che le primarie inventate da Arturo Parisi, a cui partecipa tanta gente, sono un evento piuttosto singolare. In primo luogo non sanciscono alcunché, tant’è che poco tempo dopo che si svolgono vengono surclassate dalla richiesta che altre vengano celebrate. Bersani fu eletto in uno scontro vero con Franceschini ma subito dopo, pensando alla candidatura a premier, si pensò di doverle ri-celebrare. Le primarie precedenti furono tutte con il trucco, perché furono investiture celebrative in quanto furono dissuasi i concorrenti più seri del leader, come accadde a Bersani spinto a non contrastare la candidatura di Veltroni o quelle di Prodi che si svolsero senza competitor di peso. Così è andata.
Ora Bersani si trova di fronte a un avversario vero che non solo vuole scalzarlo ma propone un partito assai diverso dal suo e soprattutto annuncia la messa fuori gioco di una intera classe dirigente. Questa non ha fatto al segretario il regalo che ci si aspettava. Nessuno si è messo da parte, finendo per coprire con la propria inamovibilità l’immagine del segretario.
Oggi siamo a un passo dall’irreparabile. Bersani potrebbe perdere la sfida dell’assemblea, potrebbe vincerla e perdere Renzi come compagno di partito, annullando così il significato delle primarie, potrebbe fare un passo indietro sulle regole perdendo la faccia. Ci vorrebbe un gesto forte per aiutarlo in questo difficile passaggio. Potrebbero farlo alcuni dirigenti della vecchia guardia annunciando che lasciano il campo per togliere a Renzi il tema della rottamazione e restituire allo scontro il sapore della contrapposizione liberisti-keynesiani. Serve cioè un gesto di generosità politica. Dubito che ci sarà.