Quando la grande scatola grigia, arrampicata su su per sette piani, aprì le enormi labbra di metallo, dalla sua bocca uscirono quattro creature rotonde e sorridenti. Erano quattro, sì, ma a guardarle bene si capiva che in realtà erano almeno in otto, se non di più. Qui su su al settimo piano, infatti, le creature rotonde e sorridenti vivono per due.
Bussarono a una parete al colore di vaniglia, tutte in fila come gli ovali di un bruco, mentre a voce alta ripetevano dei numeri: 20, 24, 22. Rispose una fatina vestita di bianco. Era il segnale giusto, e infatti la parete di vaniglia si aprì su una piccola stanza con tre poltrone blu cobalto e strani calcolatori. Dentro altre creature rotonde e sorridenti sedevano con una grossa cinta nera sull’addome. Erano tutte in silenzio.
Qui su su al settimo piano, dove si vive per due, si passa il tempo ad ascoltare. Non servono le orecchie, per questo si usano quelle macchine con grandi cinte nere e dischi bianchi. E non si ascoltano parole né canti. Qui su su al settimo piano si sente il cuore.
Le creature rotonde entrarono, una dopo l’altra. Mentre le fessure della parete vaniglia lasciavano passare uno strano ticchettio. Ritmico, con un leggero rimbombo, rassicurante.
Dicono che quello sia il suono del cuore delle creature che non si vedono ma già ci sono. A volte è incalzante come la corsa di un cavallo, altre così sottile che lo si può sentire solo stando quasi in silenzio. Ma è sempre un suono dolce, e infatti per farlo partire basta mangiare una caramella o una zolletta di zucchero, pozioni magiche di cui le creature rotonde e sorridenti non sono mai sprovviste. Ed è un suono che si può vedere. Perché disegna un pentagramma di montagne dalla cima aguzza. È tutto lì, sul foglio che la macchina delle cinte scure sputa fuori, piano piano.
Passarono dieci, venti, trenta minuti. Poi la parete di vaniglia si aprì e le creature rotonde e sorridenti uscirono. Sempre in fila, una dietro l’altra. Dissero che “avevano ascoltato”, e lo dissero con sollievo e anche un po’ di orgoglio, sventolando un foglio bianco su cui la fatina aveva segnato dei numeri. Altri numeri.
Poi andarono verso la grande scatola grigia e aspettarono. Finché questa tornò ad aprire le sue grandi fauci di metallo, e le inghiottì.