A mente freddaLeggere prima di commentare 2: perché qualcuno se ne approfitta…

Un paio di mesi fa, in un mio post, avevo messo in guardia chi ha la brutta abitudine di reagire ai link sui social network senza leggere il loro contenuto, ma fermandosi al titolo: in molti casi p...

Un paio di mesi fa, in un mio post, avevo messo in guardia chi ha la brutta abitudine di reagire ai link sui social network senza leggere il loro contenuto, ma fermandosi al titolo: in molti casi potevano sfuggire contenuti più complessi o potevano essere presi per buoni riferimenti ironici. Allora, però, avevo dimenticato un dettaglio piuttosto importante: non solo tra chi come me si diletta a tenere un blog, ma anche tra i professionisti dell’informazione, qualcuno potrebbe cominciare ad accorgersi di quanto sia facile indurre riflessi condizionati attraverso titoli ad effetto, poi nei fatti smentiti dagli articoli, probabilmente perché sono i testi nel loro insieme l’eventuale oggetto di denunce, querele e smentite.

Oggi mi è capitato sotto gli occhi un esempio da manuale, dal sito del Giornale. La giornalista Paola Fucilieri, che da tempo si occupa di rendere più appetibile la cronaca locale milanese creando prodotti dotati della dose di allarmismo e di sensazionalismo adeguata a farli promuovere talvolta sulle pagine nazionali, ha pubblicato il pezzo intitolato “Rom rapisce una bambina e spara all’eroe che la salva“.

Il lavoro merita un’analisi testuale piuttosto puntuale fin dal sommario, dove si inizia con “lo zingaro aggredisce la madre che aveva in braccio la piccola di 4 anni”. Questa prima frase è interessante in primo luogo per il disinvolto utilizzo del termine “zingaro”, che nella percezione comune non è certo tanto spregiativo quanto l’uso di “negro” per riferirsi a un africano, ma che comunque dovrebbe urtare la sensibilità comune più di quanto non faccia. Inoltre, già da qui appare una prima ambiguità, perché l’oggetto dell’aggressione diventa la madre, e non (solo?) la bambina. Le ragioni di quest’inizio sfocato si comprendono però andando nel testo vero e proprio.

Infatti, il breve testo è composto, nella sua seconda metà, dalla narrazione dei fatti riportata da Giuseppe Galdiero, “26 anni, ex consigliere comunale del Pdl a Pieve Emanuele”, il quale racconta di aver visto un rapinatore che cercava di ottenere da una madre gli oggetti di valore, e poi “si avvicinava minaccioso verso la bambina stretta alla madre”, suscitando nell’osservatore la legittima impressione che potesse farle del male. Da qui l’intervento del soccorritore:

«Ho notato quella donna molto impaurita – spiegherà il giovane ai carabinieri – e quel rom con le mani su di lei, sulla bambina. Lui la guardava, le era vicinissimo: ho avuto la sensazione nettissima che quell’uomo volesse strappare la bimba dalle braccia della madre. E sono andato a impedirglielo».

Galdiero si para davanti al rom che, oltre alla borsa, sembra abbia già messo le mani addosso alla bimba per portarla via. I due si strattonano, comincia una zuffa ma finisce subito. Il nomade, infatti, capisce che il ragazzo non lo lascerà andare tanto facilmente. Così, si gioca il tutto per tutto: estrae dalla tasca della giacca un revolver, spara alla coscia destra del 26enne e quando l’italiano cade a terra ferito, lui ne approfitta per dileguarsi.

Ora Galdiero è all’ospedale, dove resterà per una decina di giorni, e il malvivente è fuggito con l’aiuto di un complice, ed è ricercato dalla polizia. Ma in tutto questo qualcosa non quadra. Dove sono gli “zingari”? Da un lato, il rapinatore è descritto come di “pelle scura, robusto, capelli corti, un po’ stempiato”, e non risulta che abbia mai dichiarato le proprie generalità ai testimoni. Dall’altro, a quanto si sa è un rapinatore, il suo interesse primario erano eventuali oggetti di valore della vittima. Che quell’individuo fosse “zingaro”, e che volesse rapire la bambina, era un’impressione (assolutamente giustificata in quel momento, ripeto) del giovane che con grande coraggio ha deciso di interventire. Ma stando ai fatti, un giornalista non può che descrivere una rapina sventata compiuta da un criminale sconosciuto.

Eppure la cronaca dei fatti basata sulla testimonianza di Galdiero è preceduta, nella prima metà del testo, da una introduzione del tutto incongrua, fatta apposta per arricchire la ricostruzione dell’accaduto di significati ingiustificati, che inizia così:

Così ieri mattina Milano si è svegliata con un nuovo eroe e una vecchia paura. […] La paura degli «zingari che portano via i bambini». Un timore che, se per certi versi può sembrare leggendario, per altri lo è molto meno.

Ecco: questa paura è tanto diffusa (ed evidentemente Galdiero, nel vedere e interpretare d’istinto la scena, ne era comprensibilmente suggestionato) quanto, appunto, leggendaria. Vale la pena di ricordare che in nessun caso di rapimento di minore, nella storia giudiziaria d’Italia, le indagini hanno mai coinvolto seriamente individui appartenenti alle popolazioni indicate sbrigativamente come “zingari”, e che la voce, con tutte le implicazioni culturali che hanno presieduto alla sua origine, rappresenta tuttora uno degli ambiti di studio più comuni nell’analisi delle “leggende metropolitane” o “leggende contemporanee”.

Di queste acquisizioni che dovrebbero essere moneta corrente per qualunque serio operatore dell’informazione la Fucilieri non si interessa, e passa anzi a tirare in ballo precedenti assai nebulosi, dove a quanto si sa hanno probabilmnte giocato allo stesso modo di quanto accaduto ora suggestioni incontrollate nei testimoni, ma sufficientemente noti e dibattuti da smuovere gli animi e i sentimenti:

L’ombra mai dissipata del coinvolgimento dei rom c’è stata infatti in casi notissimi e finora mai risolti. Fin troppo facile ricordare la scomparsa di Angela Celentano, sparita nel nulla nell’agosto del 1996, all’età di 3 anni, sul Monte Faito, in provincia di Napoli. Decisamente più recente (settembre 2004) il caso di Denise Pipitone, rapita a 4 anni, mentre giocava a due passi da casa sua a Mazara del Vallo (Trapani). E avvistata anche a Milano, sei mesi più tardi, da una guardia giurata, proprio in compagnia di un gruppo di zingari. «Mi sono insospettito per la forte somiglianza con le foto viste in tivù e il fatto che la chiamassero “Danas“» ricorderà il testimone, una guardia giurata. Che di quell’incontro fece pure un filmato con il telefonino.

Una digressione del genere, che occupa un buon 20% di un articolo di cronaca locale, è in ogni caso ingiustificabile perché del tutto fuori tema, e comprensibile solo nel tentativo di giustificare, in assenza di fatti, un titolo che “urla” accuse gratuite, per quanto assai adatte a stimolare i peggiori istinti dei lettori, senza ritegno e senza sostegni effettivi.

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