Al suo secondo film, il protagonista della celeberrima serie TV “How I Met Your Mother” ritorna ai temi che gli sono cari: la paura di diventare adulti, l’amore per la letteratura, la vita a New York. Con quali risultati?
Alzi la mano chi di voi ha amato How I Met Your Mother!
Alzi la mano chi di voi non sopporta la versione doppiata in italiano! (andiamo, Barney Stinson con quel vocione?)
Alzi la mano chi di voi ha smesso di seguirla al termine della quinta serie! (e sto larga, preoccupanti segni di cedimento si vedevano già durante la quarta)
Bravissimi!!
HIMYM è una brillante sitcom sulla vita di un gruppo di giovani newyorkesi, basata su un’idea geniale: nel 2030, l’architetto Ted Mosby (interpretato da Josh Radnor) inizia a raccontare ai due figli adolescenti come è avvenuto l’incontro con la loro madre. Ogni episodio è costruito come un flashback per una storia più o meno breve, quasi sempre conclusiva, in che nel lungo termine coinvolge lo spettatore nel tentativo di indovinare chi, tra le varie ragazze che passano sullo schermo, è la madre in questione.
Ho smesso di guardare HIMYM dopo aver capito che non ci avrebbero mai svelato l’identità della mamma. O meglio, l’avrebbero fatto prima o poi, ma nel frattempo ci saremmo dovuti sorbire una tediosa soap opera in cui Tizio va con Caio, per poi tradirlo con Sempronio. E credetemi, mi piange il cuore mentre lo scrivo.
Mentre la quinta, la sesta e la settima serie faticavano ad andare in porto, gli attori protagonisti (quasi tutti al loro primo ruolo importante in TV, quasi tutti ormai identificati col personaggio) facevano altro. Jason Segel/Marshall Ericksen doppiava cartoni animati, Neil Patrick Harris/Barney Stinson si buttava nel musical, Cobie Smulders/Robin Scherbatsky sui supereroi (con una parte ne The Avengers).
… e Ted? Che faceva Ted?
Josh Radnor somiglia paurosamente al personaggio di How I Met Your Mother. E in ogni apparizione sullo schermo, sia televisivo o cinematografico, interpreta irrimediabilmente se stesso. Che può essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio. Da qualche anno, Ted (perdonatemi, mi fa impressione chiamarlo col suo vero nome) ha deciso di reinvestire i proventi di HIMYM nella produzione di film di cui è regista, sceneggiatore e protagonista. Un trentenne che vive a New York, lavora nel campo creativoletterario, si innamora perdutamente, ci crede, è deluso e vulnerabile, ricomincia, non perde le speranze, incassa, forse alla fine vince.
Forse.
La storia è questa: Jesse Fisher ha poco più trent’anni, vive e lavora a New York. Gli sarebbe piaciuto guadagnarsi da vivere impiegando in qualche modo i suoi studi di letteratura inglese, ma per ora deve accontentarsi di un posto all’ufficio ammissioni di una non meglio precisata università (e gli va pure di lusso). Finché un giorno riceve una telefonata: il suo vecchio professore mentore degli anni universitari sta per andare in pensione e vuole invitarlo alla cena di addio. Ted (pardon, Jesse) noleggia un auto e guida fino in Ohio: qui incontra Zibby, precoce e affascinantissima diciannovenne (interpretata dall’incantevole Elisabeth Olsen, che è parente), al second’anno di studi teatrali. Nascerà qualcosa? E che cosa? Mentre la romance si consuma a colpi di musica classica e lettere appassionate, attorno a Jesse orbitano un altro paio di giovani studenti più o meno problematici e una procace professoressa di letteratura inglese (Allison Janney) – per chi è familiare con il gergo di HIMYM sì, è una cougar.
Il trailer ufficiale del film.
Ho un debole per Ted Mosby e tutti i suoi cloni cinematografici, perché è il ragazzo sensibile, dolce, intelligente e mediamente attraente che tutte speriamo di incontrare (prima o poi). Per questo ho delle serie difficoltà quando si tratta di valutare uno dei suoi film. Per essere un quasi debutto – dopo l’esordio nel 2010 con happythankyoumoreplease – Liberal Arts ha molti pregi, ma anche qualche grosso difetto.
Partiamo dalla trama: Liberal Arts è un film sulla nostalgia e sulla paura di crescere, o meglio di vivere la propria età serenamente – tutto filtrato dall’amore per la letteratura e i libri. Non posso che simpatizzare: in Italia sono ancora considerata poco più di una bambina, tanto da provare sempre più nostalgia degli anni universitari e non sentirmi più di ventidue, ventiquattro anni massimo. E sì, mi piacerebbe guadagnarmi da vivere con quello che scrivo.
Un tema interessante, che tuttavia Josh Radnor affronta in modo abbastanza schematico, mettendo se stesso (il trentacinquenne confuso) al centro di una triangolazione di relazioni con personaggi rappresentativi di altre classi di età: l’anziano professore che non vuole andare in pensione, la studentessa diciannovenne che si sente più degli anni che ha e la docente quarantenne d’assalto, cinica e disillusa dalla vita.
Non solo, ma nella tradizione ormai consolidata di un certo cinema indipendente americano, tutti gli interpreti sono degli attori che intepretano dei personaggi, che interpretano degli “stereotipi da schermo” – proprio come Ted / Josh / Jesse. Uniche eccezioni sono probabilmente le due figure femminili, seppure in modi diversi: da un lato c’èElisabeth Olsen che regala una splendida e convincente prova attoriale, interpretando Zibby con estrema naturalezza e autenticità – ed è un peccato davvero che l’abbiano vestita tanto male. Dall’altro c’è Allison Janney che, ben conscia dei limiti imposti al suo personaggio, lo intepreta in volutamente sopra le righe, risultando perciò ancora più divertente.
Lo schema del gioco di Ted / Josh / Jesse è tanto più visibile perché non è sostenuto da dialoghi sufficientemente brillanti: a parte qualche alzata di genio, il ritmo delle battute langue, mentre gli scambi più riusciti sono quelli epistolari tra Jesse e Zibby, letti fuori campo con sullo sfondo le immagini patinate di un Ohio verdissimo o di una New York tutta acciaio e cemento.
Un scrittura discontinua, che si accompagna ad un’altrettanto altalenante mano registica: se la sequenza d’apertura ha qualche guizzo interessante (l’uso dei suoni d’ambiente che si mescolano ai titoli di testa, una scelta efficace delle musiche di commento all’azione) tutto il resto scivola abbastanza presto in una regia televisiva a base di colori saturi e movimenti di macchina più che prevedibili.
Tuttavia, la faccia da bravo ragazzo di Radnor è irresistibile, tanto che alla fine del film ci scappa il sospirone alla “ma che film caruccetto, ma che storia caruccia.” Di sicuro però Liberal Arts non farà parlare di sé ancora per molto tempo.