Da ormai un anno una costola di China Files ha lasciato la Cina e si è stabilita in India, creando anche fisicamente una sottosezione staccata della redazione pechinese, Asia Files.
Le due sezioni – e se aggiungiamo la cellula romana siamo a tre – collaborano giornalmente grazie ai social network e a Skype, sempre al netto degli incidenti infrastrutturali che, nei tre Paesi, recentemente si sono presentati nelle seguenti manifestazioni:
Cina – Connessione ballerina dall’ufficio che, seppur ricavato in una vecchia casa tradizionale (hutong) vicino al centro di Pechino, dovrebbe essere munito degli ultimi ritrovati tecnologici della Repubblica popolare cinese, parlando di allacciamento a internet. Ma come si modernizza la Rete, così si modernizza il Pcc, che puntualmente, a ridosso di eventi sensibili (assegnazione premio Nobel, processi a politici corrotti, Congresso del Partito), è avvezzo a far rivivere alla capitale i bei tempi andati del modem analogico 14kbps.
India – La redazione, immersa nella campagna del Bengala Occidentale, è felicemente lontano dal caos delle metropoli indiane ed allietata da visite di animali autoctoni quali piccioni, pappagalli, serpenti, insetti vari ed eventuali più l’ultima new entry, una sorta di talpa che i bengalesi chiamano chuncho, contro la quale i redattori stanno ingaggiando una battaglia senza esclusione di colpi. La connessione – installata dai tecnici locali incrociando fili come MacGyver – è soggetta ai cambiamenti atmosferici, come un barometro. Quando la rete cade, sta per piovere.
Italia – Al secondo piano di una palazzina signorile di Roma nord-est, la postazione di lavoro della cellula romana di China Files è stata recentemente compromessa da un riprovevole disservizio di una nota compagnia telefonica italiana. Il centralino della suddetta, alle ripetute lamentele del redattore, ha risposto sollevandosi da ogni responsabilità, consigliando la sicura procedura dello “spegni e riaccendi”.Risultata inefficace. Solo un tecnico civitavecchiese sulla cinquantina, sopraggiunto sul luogo del misfatto, è stato in grado di individuare la problematica, unendosi al redattore in una sequela di insulti liberatori e gratuiti indirizzati ai centralinisti sottopagati.
Oltre al sito internet ed alla pagina Facebook, le tre redazioni sono molto attive su Twitter, dove si giostrano animando due account. Quello di China Files, attivo ormai da oltre due anni, è dedicato principalmente alla Cina. Come avatar ha il famoso ritratto di Mao Zedong dipinto da Andy Warhol, una scelta pop nell’accezione più stretta del termine.
Da alcune settimane abbiamo anche aperto un account separato per Asia Files, per concentrarci maggiormente sulle news e le segnalazioni dal resto dell’Asia – che, anche se non sembra leggendo i giornali italiani, è molto vasta e sfaccettata.
Subito però è emerso il problema avatar: che faccia dare ad una sezione asiatica di un’agenzia di stampa? Dopo aver scartato il Mahatma Gandhi (troppo indiano, troppo inflazionato, troppo hindu), Buddha (troppo religioso, troppo new age, troppo spritualismo post-freak), Pol Pot, Khmer Rossi, Tigri del Tamil, separatisti kashmiri (per ovvi motivi), una serie infinita di divinità del pantheon induista, fiori di loto, bacchette d’incenso, ciotole di riso, elefanti, tigri e scimmie, è stato raggiunto un consenso sul faccione barbuto del bengalese Rabindranath Tagore, andywarholizzato.
Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913, è stata una delle menti più brillanti della sua epoca. La sua sterminata produzione comprende prosa, poesia, pièce teatrali, canzoni, coreografie di danza, inni nazionali (due, quello indiano e quello bangladeshi), trovando il tempo anche per dedicarsi in tarda età alla pittura.
Nelle prime due decadi del ‘900, dopo un tour mondiale in cui conobbe i maggiori intellettuali del momento dal Giappone agli Stati Uniti – fece visita anche a Mussolini, prendendo subito le distanze dal fascismo non appena gli spiegarono bene cos’era – fondò a Santiniketan (sede di Asia Files) l’università Visva Bharati, un punto d’incontro e di scambio per gli intellettuali di tutto il mondo dove, tra gli altri, insegnò anche Giuseppe Tucci, forse l’orientalista più brillante della storia italiana.
Tagore predicava un nuovo antropocentrismo globale, distaccandosi dai fazionismi ideologici e religiosi che in quell’epoca imperversavano a livello mondiale.
Tagore ci piace molto, le sue idee come il suo bel faccione barbuto che ci siamo presi in prestito. Speriamo non se ne dolga.