Il generale Biagio Abrate, capo di stato maggiore della difesa, si è recato in visita ufficiale in Pakistan. Ad accoglierlo al suo arrivo, il generale Khalid Shameem Wynne, presidente del comitato interforze dei capi di stato paggiore pakistano, ovvero l’ufficiale generale più alto in grado della difesa di Islamabad.
Ufficialmente, il tema principale dei colloqui è stato «l’evolversi della situazione geostrategica in Asia Centrale, con l’Afghanistan al centro dell’attenzione», come riporta il comunicato stampa diramato dallo stato maggiore italiano. In particolare, cita il comunicato ufficiale, «il Generale Abrate si è soffermato sul processo di transition in atto nel Paese, confermando la volontà italiana di continuare a sostenere – anche militarmente – lo stato afgano».
Convenevoli ricambiati dall’alleato pakistano: «Da parte sua, il generale Wynne ha sottolineato come il Pakistan sia strettamente legato – per vicinanza geografica e culturale – al processo di stabilizzazione dell’Afghanistan ed ha perciò ringraziato l’Italia per il considerevole e continuo impegno svolto in tal senso».
Si è parlato poi, ovviamente, di terrorismo internazionale. A questo proposito, il generale Abrate ha espresso «il suo apprezzamento per gli oltre 10mila militari che il Pakistan schiera, soprattutto in Africa, nelle missioni di Peacekeeping guidate dalle Nazioni Unite».
Un incontro cordiale e amichevole, come del resto sono ormai da lungo tempo i rapporti tra Italia e Pakistan. Una normalissima occasione protocollare per consolidare ulteriormente la reciproca stima tra le due nazioni. Islamabad, infatti, è senza ombra di dubbio un alleato prezioso e strategico per la Nato in un quadrante così difficile dello scacchiere internazionale. Ma, proprio nello stesso quadrante, il Pakistan è anche il principale rivale militare, economico e politico della nascente superpotenza indiana. La stessa con cui, tra mille cautele e tentennamenti da parte italiana, Roma ha intavolato un difficilissimo braccio di ferro per la liberazione dei due fucilieri di marina del Battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, illegalmente trattenuti in India con l’accusa di aver ucciso alcuni pescatori scambiandoli per pirati.
Da 232 giorni, ormai, la trattativa viaggia su binari paralleli. Da un lato, la battaglia legale sulla giurisdizione, per stabilire chi abbia il diritto di processare i due marò. I quali, de facto, sono soldati di una forza straniera che l’India ha letteralmente sequestrato per un presunto fatto avvenuto in acque internazionali. Dall’altro l’interesse italiano a non vedere mandate all’aria le commesse industriali (e militari) con un partner commerciale comunque strategico. Un partner che però, alla peggio, potrebbe essere sostituito in corsa proprio dal rivale pakistano? Forse. Al di là dei convenevoli di rito tra due nazioni amiche, l’Italia e il Pakistan, l’incontro tra i due comandanti in capo potrebbe dunque avere altri risvolti e altri significati diplomatici altrettanto importanti, per quanto più sottili e “tra le righe”.
Il generale Abrate, infatti, è volato ad Islamabad anche per discutere con il suo parigrado della possibilità di incrementare la collaborazione bilaterale nel campo della formazione e dell’addestramento, da inserire nel piano di cooperazione che viene annualmente rinnovato e aggiornato dai rispettivi stati maggiori.
E, per parte sua, il generale a quattro stelle Wynne Khalid Shameem ha colto l’occasione per manifestre pubblicamente tutto l’interesse da parte sua e del suo paese per i prodotti dell’industria italiana della Difesa, di cui ha riconosciuto «l’elevato livello tecnologico». Morto un partner se ne fa un altro?