Le cinéma autrementLondon Film Festival. Due (brutti) film in concorso

Due film storici, due coming of age dramas, tre adolescenti sull'orlo di una crisi di nervi. Ecco perché Lore e Ginger & Rosa non mi sono piaciuti.Partiamo da Lore.Il film ha viaggiato nei festival...

Due film storici, due coming of age dramas, tre adolescenti sull’orlo di una crisi di nervi. Ecco perché Lore e Ginger & Rosa non mi sono piaciuti.

Partiamo da Lore.

Il film ha viaggiato nei festival di Sydney, Toronto, Locarno e Amburgo prima di arrivare a Londra, ma non è ancora uscito per il grande pubblico nei cinema europei.

Quando si tratta di raccontare le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza, sembra che ci sia una regola cinematografica non scritta a proposito dello stile: colori innaturali e ipersaturi, suoni ambientali amplificati, inquadrature che raramente abbandonano dettagli infinitesimali – il pizzo di una redingote, delle formiche che corrono su una gamba coperta di sangue, la colla gelatinosa di una fotografia affissa al muro.

L’ha fatto già l’inglese Andrea Arnold l’anno scorso a Venezia adattando Cime Tempestose, senza particolare successo. Lo ripete quest’anno l’australiana Cate Shortland con Lore, una film tratto dal romanzo The Dark Room dell’inglese Rachel Seiffert, finalista del Man Booker Prize 2011 – uno dei premi letterari più prestigiosi del Regno Unito. Il romanzo è in realtà una raccolta di racconti in cui i protagonisti, spesso adolescenti, si trovano a riflettere sull’esperienza di esser cresciuti nella Germania nazista e sulla necessità di rinnegare la vita e il mondo così come li avevano conosciuti fino a quel momento.

Lore è una di questi adolescenti. Figlia di un gerarca responsabile degli eccidi perpetrati in Bielorussa dal regime nazista, nel 1945 è costretta ad abbandonare la casa in cui vive assieme ai fratelli e ai genitori, nella Foresta Nera. Poco dopo la morte di Hitler i genitori sono arrestati e condotti in un campo di prigionia: abbandonati a se stessi, Lore e i suoi fratelli iniziano un viaggio attraverso una Germania in rovina per raggiungere la casa della nonna materna ad Amburgo. Lungo la strada Lore incontra Thomas, un giovane ebreo scampato ai campi di concentramento che sta cercando di tornare a casa: per garantire a sé stessa e ai suoi fratellini la sopravvivenza, Lore dovrà legarsi a chi fino a un momento prima aveva imparato a odiare.

Il trailer ufficiale del film.

Secondo lungometraggio per la Shortland dopo l’esordio nel 2004 con Somersault, Lore è tra i film in concorso al London Film Festival 2012. Intervistata a proposito del film, la regista ha dichiarato l’adattamento del romanzo è stato difficile non solo per la scrittura asciutta e frammentaria, suggestiva di immagini che tuttavia mal si adattavano alla trasposizione sullo schermo, ma anche perché l’autrice non trae nessuna conclusione morale dall’esperienza di Lore, limitandosi a raccontare i fatti e lasciando molti interrogativi senza risposta.

Credo che le difficoltà del film rispecchino in parte i problemi incontrati nell’adattamento. Lore è un road movie avvincente, girato con maestria e cura per le ricostruzioni ambientali, con paesaggi naturali e umani mozzafiato, parte integrante della progressione narrativa. Nonostante la giovane età, i protagonisti interpretano con talento e naturalezza i ruoli loro affidati, superando a volte per credibilità le controparti adulte. Le musiche e le scelte di ripresa non esagerano quasi mai il materiale del racconto, dosando il gore e la suspence – sempre filtrati attraverso l’occhio dell’infanzia, e forse per questo più sopportabili.

Insomma un prodotto ben confezionato, che però dimentica di affrontare l’elemento fondamentale di interesse del film (e del romanzo). Quello che manca – in termini di stile, ovvero di contenuto narrativo – è il paesaggio interiore dei protagonisti, in particolare di Lore. Poche immagini e poche parole sono spese ad esplorare la psiche della ragazzina e le sue trasformazioni, il suo rapporto con un’ideologia aberrante che tuttavia faceva parte del suo orizzonte familiare – e che ora è costretta a rimettere in discussione.

Ci sono molti spunti di riflessione, è vero, che tuttavia non vengono mai sviluppati: è il caso dell’identificazione tra la figura del padre e quella del fuhrer – il “padre della Germania” nel sistema ideologico nazista; il rapporto con Thomas, che nel film è carico di tensione sessuale ma tralascia di approfondire le più importanti questioni dell’identità e del riconoscimento (Thomas è davvero chi dice di essere? Ma non voglio fare spoiler…). Raccontare i fatti significa esaminarli criticamente in tutte le loro possibili implicazioni – e le immagini in questo senso possono moltiplicare le chiavi di analisi – senza per questo dover trarre a tutti i costi delle conclusioni di tipo morale.

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