Oggi ci vuole coraggio a dire qualcosa in contrapposizione al credo dei ciclisti. È politicamente scorretto e ti ritrovi sotto assedio in men che non si dica. Per strada o a una cena. O anche su un quotidiano on line. Oggi Maria Laura Rodotà, ciclista, scrive un articolo garbato e addolorato sul Corriere della Sera. Ben descrive lo stato di perenne insicurezza e frustrazione in cui si trova un ciclista italiano in una delle tre principali città: Milano, Roma e Napoli.
Parte proprio da Napoli la giornalista del Corriere e da una foto del Corriere del Mezzogiorno che fa dello spirito su un’immagine di una bicicletta disegnata in via Toledo. Ma come? Basta un’immagine a contraddistinguere una ciclabile? Possibile che in tutta l’Europa civile le piste ciclabili siano imprescindibili e da noi no?
Possibile, rispondo. Possibile, perché è una questione di cultura. Di abitudine. Di consuetudine. È vero che nell’ultimo anno in Italia si sono vendute più biciclette che automobili, ma non è affatto vero che la bicicletta venga utilizzata più della macchina. È vero che l’alto prezzo della benzina abbia indotto in tanti ad abbandonare l’auto ma siamo ancora lontani, per non dire lontanissimi, dalle scene quotidiane di Amsterdam (anche perché, va detto, i nostri ciclisti sono mediamente ben più nervosetti di quelli olandesi).
Non abbiamo una cultura della bicicletta, almeno a Roma e Napoli. Forse a Milano un po’ in più, non so. Però la bicicletta è diventata trendy e gli amministratori locali spesso, in nome delle due ruote, compiono scelte assurde. A Testaccio, il quartiere dove abito, qualche tempo fa Alemanno ha deciso di restringere la carreggiata per consentire la realizzazione di una pista ciclabile. Risultato? Non passa una bici neanche a pagarla e la curva dell’autobus si tramuta spesso in un esercizio di destrezza.
Anche a Napoli, per quel che ho visto, sono rimasto allibito di fronte alla posta ciclabile realizzata a Fuorigrotta, in viale Augusto. Una ciclabile che prende quasi metà carreggiata. Vorrei sapere quanti ciclisti la percorrono durante una giornata. Se sono più di cento pago da bere a tutti e cento.
Che cosa voglio dire? Che in linea teorica Maria Laura Rodotà ha ragione. Ma bisogna fare i conti con la realtà. E spesso i nostri sindaci seguono l’onda della moda più che pensare alla vivibilità di una città. Magari i provvedimenti andrebbero presi programmandoli, non realizzando una corsia una tantum che non serve a nessuno. Da noi, invece, si fa tutto sulla base dell’improvvisazione. Come quando si chiude il traffico alle auto senza però potenziare il trasporto pubblico. Ci si libera la coscienza, si presume di guadagnare qulche voto (gli ambientalisti sono tanti e hanno la scheda elettorale), ma di fatto si rendono solo più ardui gli spostamenti ai cittadini.