Stanotte non riuscivo a dormire. Mi sveglio sempre verso le cinque del mattino, è così dai primi mesi della gravidanza. Mia sorella dice che è perché si sveglia il bambino, il che potrebbe voler dire che farà il galletto alla stessa ora anche dopo. Ci ho riflettuto: tutto sommato non è un orario proprio terribile, le cinque, no?
Comunque, stanotte non riuscivo a dormire perché pensavo a New York.
Sarà stata la puntata di Cortesie per gli ospiti NYC che ho visto qualche giorno fa. La tipa che viveva nell’Upper East Side e aveva fatto la cena multietnica, la coppia gay che aveva un attico a Brooklyn con terrazza affacciata sulle guglie dei grattacieli di Manhattan… Mi è venuta una voglia impellente e incontrollabile di una passeggiata a Central Park o giù a Tribeca, scalciando con i piedi le foglie rossicce che cadono dagli alberi. Che poi l’autunno, a New York, è il mese più bello.
Così ho cominciato a pensare a quando potrò viaggiare di nuovo, così lontano. Perché io – e Mr P. non è da meno – sono una “mamma con la valigia”. O meglio, finora sono stata soltanto una donna con la valigia: piena per metà di sogni, per l’altra di necessaire. E dal biglietto aereo facile.
Di cose in programma ce ne sono. Dovrei andare a trovare la Vichinga in Olanda, per non parlare del matrimonio dei nostri amici in Brasile, a cui non potremo partecipare perché a dicembre, oppure di quello a Las Vegas a gennaio, idem di cui sopra. Poi è da tanto che vorrei visitare le valli verdi della Scozia o l’Irlanda, senza contare una capatina da mamma a Bruxelles per una maxi-porzione di frites e maionese che sto sognando da quando avevo le nausee.
Realisticamente, pensavo, senza incorrere nel viaggio della speranza con boiler, borse di pannolini e altri accessori che non entreranno mai nel bagaglio a mano, quando potrò stampare un biglietto aereo (anche del treno, va’) a mio nome? È vero che i bambini ormai viaggiano ovunque, anche da piccolissimi. Ma ne vale veramente la pena, visto che non si ricorderanno niente?
Non vorrei essere una mumzilla di quelle che si chiudono in casa fino ai 18 anni del figlio, ma nemmeno una all’olandese che se li carica sul marsupio e gli fa fare millemila chilometri prima che abbiano cominciato a tenere la testa dritta. Sono pur sempre un po’ italiana, sono pur sempre un po’ mammà.
Col cruccio, piano piano, mi sono riaddormentata. Sognando un po’ di shopping pre-Halloween da Bloomingdale’s o Macy’s, che non farà chic ma è tanto American style. Mi sembra di sentire l’aria frizzantina di metà ottobre tra le stradine del Village. Un tipo stravagante che fa due passi in fuseaux a scacchi e sciarpetta abbinata, una runner che sbuca a tutta velocità da dietro l’angolo. Guardare le facciate di quei palazzetti così vecchi, eppure così pulsanti di nuove tendenze, come se quella parte del mondo andasse sempre un po’ più veloce del resto. In una realtà senza tempo ma avanti coi tempi, in quell’atmosfera che ti fa sentire nel posto giusto al momento giusto.
Ah, New York! Meglio che non mi tocchi niente: non vorrei che le bebè nascesse con il tatuaggio dell’isola di Manhattan da qualche parte.