A mente fredda“Moviola in campo”: sì, ma come?

I fatti assolutamente ingiustificabili e anche tecnicamente incomprensibili di alcune partite di ieri (e chi mi legge sa quanto mi costi dirlo), soprattutto a Catania ma anche in modo meno decisivo...

I fatti assolutamente ingiustificabili e anche tecnicamente incomprensibili di alcune partite di ieri (e chi mi legge sa quanto mi costi dirlo), soprattutto a Catania ma anche in modo meno decisivo a Firenze, hanno riportato in auge l’annoso dibattito sull’applicazione anche al calcio della cosiddetta “moviola in campo“, ovvero della possibilità di utilizzare le immagini registrate per una verifica delle decisioni arbitrali.

Come sappiamo, la proposta si scontra sia con l’ostilità delle istituzioni calcistiche internazionali, sia col fatto che in Italia essa è supportata da portavoce destituiti di ogni credibilità giornalistica, e riconosciuti anche da decisioni della Corte di cassazione semplicemente come uomini di spettacolo usi a far divertire ed agitare gli spettatori, e poco più.

In effetti, più che consumare le corde vocali nell’enunciazione della necessità assoluta di una “moviola in campo”, vista senza possibili alternative come l’unica panacea di ogni male, quasi con l’effetto taumaturgico (smentito già dalla spesso inconcludente “moviola” televisiva) di riportare l’assoluta oggettività ormai perduta, sarebbe necessario concentrarsi su una questione su cui troppo spesso si sorvola, ovvero su come si vuole mettere in opera la riforma. Per inserire l’analisi dei video nelle partite, infatti, occorre rispondere a tre domande fondamentali:

  1. In quali occasioni le immagini possono essere usate?
  2. Chi può chiedere la verifica delle immagini?
  3. Chi visiona concretamente il filmato?

Gli sport che hanno sperimentato questa innovazione hanno in tutti i casi (e non dovrebbe essere difficile nemmeno per il calcio, vista la grande importanza anche economica assunta dalle competizioni professionistiche) stabilito che i grandi circuiti nazionali e internazionali meritavano, per la loro importanza, un’accuratezza di giudizio che sui campi di gioco locali, privi di apparecchi di registrazione sofisticati, era impossibile garantire; essi hanno però dato a queste domande risposte diverse, in pratica attribuendo all’esame delle immagini un diverso ruolo e diverse funzioni nell’ambito di un incontro. Faccio due esempi di sport diversissimi tra loro (ma in un caso piuttosto simili, viste le comuni origini, al calcio), ma accomunati al calcio dal ruolo fondamentale delle decisioni arbitrali e della condotta di gara dei giudici per la determinazione dei risultati: il rugby e la scherma. Rinviando ai link ai regolamenti per gli elementi più particolari e specifici, provo a concentrarmi sulla funzione di massima che hanno le immagini alla moviola:

  1. Nella scherma, si può ricorrere alla moviola per qualuque ragione si ritenga errato il giudizio dell’arbitro su una stoccata. Nel rugby, finora si ricorre alle immagini solo per dubbi sulla validità di una meta. Da quest’anno sono previste alcune sperimentazioni per ampliare l’uso della moviola, ma in generale si rimane sempre concentrati sulla valutazione di azioni che hanno condotto o potrebbero condurre a cambiare il punteggio della gara.
  2. Nella scherma gli atleti possono richiedere, per un numero limitato di volte, il ricorso alla moviola. Nel rugby, solo l’arbitro può decidere di farlo.
  3. Nella scherma, è l’arbitro a rivedere lo scambio, con alcuni assistenti. Nel rugby, la moviola è gestita da un assistente del direttore di gara, in contatto radio con lui, da una cabina di regia sita fuori dello stadio; all’arbitro arrivano solo le conclusioni del collaboratore.

In generale, a quanto mi capita di sentire, l’idea dominante sarebbe quella di applicare al calcio i criteri più liberi e inclusivi di ricorso alla moviola e di visione. Abbandondando pure l’idea assurda di una tv a bordo campo, davanti alla quale arbitri, capitani, allenatori e magari i giocatori interessati dibattano di un rigore dubbio, di un fuorigioco poco chiaro, di un corner invertito e di qualunque azione non del tutto sicura, è certo che regole così larghe non sarebbero praticabili, e non solo per evitare partite troppo spezzettate da continue contestazioni e tempi di decisone troppo lunghi.

Questa incapacità di individuare le modalità e di selezionare razionalmente i casi di utilizzo è secondo me causata da ragioni più strutturali. Nel rugby, nella scherma e in altri casi, le immagini sono un supporto al lavoro dell’arbitro, di cui si riconosce la buona fede e il fatto che, provvisto di uno strumento così potente, farà del suo meglio per impiegarlo al fine di rendere il suo lavoro ancora più preciso. Nel calcio, questa fiducia non esiste più, e la “moviola in campo” è essenzialmente interpretata come uno strumento di piena opposizione nei confronti dell’arbitro, che la squadra e la società penalizzata potrà usare per screditare scelte fatte o per incapacità, o peggio per mala fede. In questo modo non si va lontano, perché, così come non hanno fugato alcun dubbio due giudici di porta in più, non potrà farlo un ricorso alle immagini televisive destinato comunque a lasciare scontento qualcuno che pensa di esserlo non per ragioni casuali, ma per una preordinata ostilità del “sistema”, qualunque cosa esso sia o rappresenti.

L’introduzione della moviola nelle partite di calcio, insomma, potrà essere utile, e noi italiani dovremmo saperlo bene, perché senza un maxischermo sarebbe rimasto impunito, a Berlino nel 2006, uno degli episodi peggiori di violenza su un campo da gioco avvenuti negli ultimi anni.

Tuttavia, tale introduzione potrà essere il punto di arrivo di un percorso di ricostruzione della credibilità del nostro movimento calcistico in tutte le sue parti (arbitri, ma anche dirigenti federali, dirigenti di società e persino giocatori, visto quanto emerge dalla questione-scommesse), e che non potrà essere surrogato da strumenti tecnici che, se impiegati in questo clima, lasceranno in tempo che trovano. E il punto di partenza dovrà essere, per forza di cose, la presa d’atto del fallimento di un sistema di giustizia sportiva inadeguato, che da anni prende decisioni drastiche per poi trovarsi di fronte a situazioni ancora peggiori di quanto anche solo immaginato, e che troppo spesso non si è mostrato giudice imparziale ma parte in lizza, o quantomeno strumento che docilmente si lascia manovrare in regolamenti di conti tra le parti.

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