Sampan ExpressMyanmar: le speranze superano le incertezze

Ieri i rappresentanti dell’ABSDF (All Burma Students’ Democratic Front) hanno tenuto una conferenza stampa a Bangkok per raccontare al mondo che paese hanno trovato al termine del loro soggiorno di...

Ieri i rappresentanti dell’ABSDF (All Burma Students’ Democratic Front) hanno tenuto una conferenza stampa a Bangkok per raccontare al mondo che paese hanno trovato al termine del loro soggiorno di un mese e mezzo in patria all’interno della “Peace Delegation for Motherland”. Fa un certo effetto partecipare ad una conferenza stampa di leader di un movimento studentesco e sentir parlare persone di mezza età, ma è proprio la vicenda umana dei tre relatori a rendere chiaramente la drammaticità della recente storia birmana. Al centro è seduto Htun Aung Gyaw, fondatore dell’ABSDF e uno dei leader della rivolta di U Thant del 1974; 38 anni fa. Arrestato nell’anno seguente rimase in carcere fino al 1980 allorché venne liberato in seguito all’amnistia generale. Alla sua destra c’è Ko Ko Lay che era all’ultimo anno di filosofia quando scoppiò la tristemente nota rivolta dell’8.8.88 in seguito alla quale fu costretto insieme a moltissimi altri studenti ad abbandonare il paese. A sinistra siede il più giovane Ko Mu Thar che negli Stati Uniti è diventato imprenditore.

Le parole futuro, speranza e cambiamento hanno dominato le due ore dell’incontro. Futuro, perché i prossimi anni saranno cruciali per il sistema politico del Myanmar soprattutto in relazione all’appuntamento elettorale del 2015. Speranza, perché le analisi politiche ed economiche dei relatori non potevano non essere impregnate dalla speranza di un futuro nella propria terra natale. Cambiamento, infine, perché il Myanmar rimasto sostanzialmente uguale a se stesso negli ultimi decenni, deve cambiare, e farlo in fretta, se vuole tenere il passo dei paesi che lo circondano e sfruttare finalmente il proprio potenziale.

All’ottimismo fa comunque da contraltare la grande incertezza che aleggia sulle prossime mosse della giunta. Il punto centrale non può che concernere le possibilità che avrà la Lady di candidarsi alla presidenza nel 2015. In base all’Art. 59 della Costituzione del 2008, infatti, le candidature alla carica di Presidente e Vice Presidente sono precluse a chi ha dei parenti stretti con cittadinanza straniera. E, come è noto, entrambi i figli di Aung San Suu Kyi sono cittadini del Regno Unito. Nonostante le recenti affermazioni del Presidente birmano Thein Sein che ha aperto ad una possibile candidatura della Lady, i tre relatori restano particolarmente dubbiosi e aspettano di vedere un reale cambiamento costituzionale. Quanto al secondo nodo politico, i rapporti con le minoranze etniche residenti nelle aree periferiche del paese, sono convinti che una volta cambiato il sistema di governo sarà più semplice includere le minoranze ed instaurare un dialogo costruttivo. Oltre alle minoranze etniche, la delegazione ha incontrato esponenti dei vari settori dell’economia. La prima impressione è stata proprio quella di un paese fermo che necessita di risorse umane qualificate, scuole, ingegneri, strade, medici, ospedali. In primo luogo l’economia birmana deve passare dal mero sfruttamento delle ingenti risorse naturali ad un’economia volta alla produzione. I monopoli statali vanno gradualmente intaccati. Il landgrabbing contrastato. Il sistema bancario completamente riformato, visto che non ha la fiducia dei risparmiatori.

Ma le nuvole sembrano diradarsi e, nonostante i molti gap da colmare, gli sviluppi dell’ultimo anno sembrano giustificare un cauto ottimismo. Htun Aung Gyaw si è detto positivamente meravigliato dalla relativa libertà di stampa, nonostante la modesta preparazione dei giornalisti locali. Ma soprattutto la proattività delle varie anime della società civile rappresenta un motivo di speranza. Inoltre l’ABSDF potrà giocare un ruolo di primo piano nelle trattative con le minoranze dal momento che il movimento studentesco si componeva di tutte le etnie del paese. La conferenza si è chiusa con l’appello per un’amnistia generale che consenta il rimpatrio degli oltre sei milioni di esuli, sottolineando che il loro contributo potrebbe essere decisivo in una fase così delicata.