L’ipotesi che la Birmania possa presto vantare due premi Nobel per la Pace è ventilata quando mancano pochi giorni all’assegnazione del riconoscimento. Dopo la paladina per la democrazia Aung San Suu Kyi, premiata nel 1991, potrebbe essere il turno del presidente Thein Sein, che smessa la divisa ha avviato il Paese dei pavoni verso riforme e aperture alla guida di un governo civile.
I nomi dei candidati per il Nobel sono ancora segreti. Tuttavia a ipotizzare il capo di Stato birmano nel gruppo dei cinque possibili papabili è stata l’agenzia France Presse, riportando quanto detto dal direttore dell’Istituto per la pace di Oslo, Kristian Berg Harpviken. In lizza, almeno secondo quanto trapelato, sarebbero anche l’ex presidente statunitense Bill Clinton, l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, l’Unione europea e Bradley Manning, il soldato sospettato, e incarcerato, con l’accusa di essere la talpa di WikiLeaks.
Per Thein Sein sarebbe il riconoscimento per il ruolo di promotore del graduale processo di pace e riforma portato avanti dalle elezioni del novembre 2010, che di fatto sancirono la fine della giunta militare al potere. Ma sull’operato presidenziale pesano le recenti violenze contro i musulmani rohingya, discriminati e considerati immigrati irregolari dal Bangladesh, che causarono almeno 90 morti. E soprattutto pesano le accuse di violazioni dei diritti umani perpetrati dalle truppe nei conflitti etnici con le minoranze nelle aree di confine del Paese.
Sebbene Thein Sein abbia instaurato trattative e raggiunto accordi con diversi gruppi ribelli, si trova a fronteggiare la rottura sedici mesi fa di un cessate-il-fuoco in vigore da diciassette anni nello Stato di Kachin a causa di una disputa territoriale.
Gli scontri a fuoco con le milizie del Kachin Independence Army sono soltanto la parte più visibile del conflitto. Secondo l’organizzazione statunitense Human Rights Watch nel corso dell’offensiva le truppe dell’esercito regolare ricorrono sistematicamente a stupri, violenze e minacce contro i civili. Intervistato dalla Bbc, il presidente Thein Sein ha respinto le accuse, provenienti a suo dire da un’unica fonte e senza basi fondate, ribadendo la disciplina dell’esercito birmano.
Al contrario, scrive Zin Linn, giornalista birmano in esilio e firma di AsianCorrespondent, l’esercito regolare ha mostrato totale indifferenza per la Convenzione di Ginevra soprattutto con l’avanzare dell’offensiva anti-Kachin. “Thein Sein deve capire a pieno di quali crimini i soldati birmani si stanno macchiando sulla linea del fronte”, scrive Zin Linn, “Se avrà il coraggio di accettare la verità non vorrà premi in cambio. Il presidente non può nascondere le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito”. Ma come sottolineato dallo stesso Harpvinken e ribadito dal Comitato per il Nobel, oltre che da scelte più o meno recenti,chi riceve il premio non deve essere per forza un santo.