L’assemblea del Pd di domani è diventata il possibile teatro di un dramma. Molti temono che il partito sia sulla soglia della scissione. La dovrebbe fare Renzi se Bersani si intestardisse, sollecitato dai suoi e dai vecchi elefanti, a modificare radicalmente le regole sulle primarie e soprattutto quella sulla pre-iscrizione che scoraggerebbe l’eventuale elettore di destra. Difficile fare previsioni in una situazione in cui Bersani appare impantanato, i suoi giovani divisi fra l’accettare l’appoggio dei vecchi elefanti o preparare il Midas con Renzi, e la nomenklatura che sogna di liquidare Renzi per garantirsi tante legislature ancora.
Ma Renzi? Se Bersani piange lui non ride. Ha portato lo scontro bel oltre il limite di tollerabilità per il suo partito. Non solo minacciando i vecchi ma proponendosi leader di un partito del tutto nuovo, visto che nelle sue uscite pubbliche ha abolito anche il simbolo del Pd. Nessuno ha capito fin dove vuole spingersi. La tematica giovanilistica è assorbente così come l’idea che il Pd sia ormai cosa inutile e che bisogna costruire sulle sue ceneri un nuovo partito che raccolga suffragi dall’una e dall’altra parte. Se è vero, come sostenevo ieri, che la caduta di Berlusconi è un po’, tradotta in italiano, come la caduta del Muro di Berlino, è evidente che Renzi vuole essere il primo a raccogliere i vantaggi della scomparsa sia del berlusconismo sia dell’antiberlusconismo.
Solo che questa posizione diventa facile da tenere da vincitore delle primarie o da sconfitto in progressione di consensi, più difficile se si è costretti nel giro di poche ore a scegliere fra norme capestro o l’uscita dal partito. Insomma, anche Renzi ha le sue gatte da pelare e deve scegliere in poche ore, queste di oggi, che cosa fare.
A lui converrebbe un accordicchio con Bersani. In fondo i due competitor hanno la stessa esigenza. Quella di far saltare il blocco della vecchia generazione e di liberarsi dall’abbraccio della sinistra. Per Bersani questo significa allontanare da sé molti suoi sostenitori antichi e ridimensionare Fassina. Per Renzi rinviare il redde rationem.
Il fatto è che dietro Renzi c’è un mondo politico, anch’esso antico, che considera conclusa l’esperienza del Pd e della sinistra in generale. In questo senso Renzi è davvero una cosa nuova, e per me indigeribile, perché rappresenta l’idea che l’intera esperienza della sinistra sia superabile. L’accusa di berlusconismo nasce da qui ma è troppo semplificatoria e banale perché non coglie la stanchezza per la sinistra che cova dentro la sinistra. Questa stanchezza non ha matrice ideologica, non è nutrita di revisionismo, ma si alimenta dell’avversione verso l’immobilità della sua classe dirigente.
Se Bersani tiene ferma la sua impostazione sulle primarie rischia di apparire l’uomo del vecchio che avanza. Se Renzi abbandona il Pd si trova prima di quanto aveva previsto a dover fare i conti sulle proprie forze perdendo il vantaggio di pescare nel proprio partito di appartenenza. Tutti e due avrebbero interesse ad accordarsi in attesa di tempi migliori. Forse finirà così.