Stiamo lavorando al nuovo regolamento per il dottorato, siamo nella fase finale. Tutto il percorso dovrebbe concludersi entro l’anno e nei primi mesi del 2013 avvieremo il processo interno all’università. Per l’anno accademico 2013-14 ci sarà un nuovo dottorato. […] Tre sono i punti essenziali del nuovo regolamento. Si parlerà di dottorato industriale degli enti e delle professioni, ci sarà una maggiore attenzione ai dottorati internazionali. In più sarà possibile svolgerli anche negli istituti di ricerca in congiunzione con l’università, i corsi di dottorato saranno accreditati a monte e poi valutati sui risultati. L’obiettivo è quello di prevedere uno sbocco che non sia prevalentemente all’interno delle università e degli enti pubbici. Queste competenze dovranno essere presenti anche nelle aziende e nella pubblica amministrazioni, come accade in Finlandia con ottimi risultati. Insomma, pensiamo a un dottorato che sia al servizio del paese e della sua innovazione.
Così il ministro Francesco Profumo in un’intervista rilasciata a Maria Lombardi e pubblicata stamattina dal Messaggero.
Bene. Personalmente, sostengo da tempo che la formazione dottorale (come tradizionalmente la formazione post-laurea) rappresenti un anello debole nella preparazione alla ricerca, all’insegnamento e alle professioni intellettuali, e che una sua attenta riforma potrebbe aprire numerose potenzialità. In particolare, una più precisa strutturazione dell’aspetto della formazione, e una sua maggiore coordinazione con l’attività di ricerca da svolgere, così da evitare l’appiattimento dell’esperienza dottorale sulla scrittura della tesi, risulterebbero strategici, così come, magari in una oculata modulazione sulla base della disciplina, l’inserimento di attività di avviamento all’insegnamento e alla gestione pratica dei progetti realmente strutturate, svolte sotto il controllo dei supervisori e ufficialmente riconosciute nei curricula, invece delle tante attività grandi e piccole spesso svolte in modo rapsodico negli atenei dai dottorandi (ai quali capita di fare praticamente tutto, tranne forse le pulizie, spero).
In questo senso si poteva leggere la mia drastica proposta di assegnare le borse di dottorato non per il semplice sforzo di produrre anidride carbonica in una qualunque sede preposta all’istruzione superiore su suolo italiano, ma di subordinarle alla partecipazione effettiva ad attività lavorative affiancate e coordinate, ma non del tutto assorbite, alla pura e semplice formazione. In questo modo non si sarebbero tagliate le borse di dottorato (cosa che peraltro, si continua a fare da anni in ogni caso, e senza alcun criterio che non sia quello lineare, e sostanzialmente impedendo a sedi competitive a livello internazionale di avere un congruo numero di studenti dottorali per mantenere posti di studio in sedi inadeguate), ma si sarebbe offerto a tutti gli attori del sistema-università. dagli studenti ai gestori dei fondi alle sedi, il grimaldello per individuare quali sedi, e in quali settori, fosse possibile sviluppare programmi dottorali effettivamente efficaci, e concentrare lì le risorse, togliendoli agli atenei che, per catenza di organico e di strutture, non avevano la possibilità di offrire lo stesso livello di formazione, senza naturalmente impedire ad essi di tornare su piazza con un programma dottorale rinnovato e migliorato a seguito di una campagna di investimenti mirata e/o di un deciso adeguamento del loro personale docente (qui si può avere un’idea del piano complessivo).
Da questo punto di vista, la proposta di Profumo avrebbe il merito quantomeno di smuovere le acque, per quanto si mostri influenzata pressoché esclusivamente dall’esperienza di introduzione al lavoro di ricerca tipico delle facoltà scientifico-tecnologiche (come forse è anche comprensibile, visto che il ministro proviene dal Politecnico di Torino) e necessiti di molte specificazioni per diventare un criterio applicabile in generale. Comunque, il fatto che prenda coscienza del problema sarebbe già un primo passo.
Uso però questi condizionali perché nel suo insieme la dinamica della proposta non mi convince. In effetti, non è chiaro perché tirare fuori questo tema a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere e di quella che, nella stessa intervista da cui sono partito, Profumo considera la conclusione naturale del suo ministero. Se anche un qualche articolato dovesse venir fuori, la sua approvazione nei tempi necessari è tutta da vedere, e in ogni caso l’applicazione pratica definitiva dovrebbe passare per le forche caudine di un nuovo governo, i cui orientamenti sull’eredità di Profumo sul terreno dell’univeristà in generale e su questo tema in particolare sono ancora ignoti. Il rischio, quindi, è quello di trovarci di fronte a un altro dei proclami del ministro che, dopo aver cercato di bloccare le nuove norme del reclutamento universitario, le ha applicate a marce forzate generando una catena di incongruenze che probabilmente non le faranno reggere ai ricorsi; che ha lanciato gli esami per il tirocinio per l’istruzione media non curandosi dello stato di lavorazione delle prove, con gli effetti che abbiamo visto; che ha indetto un concorso per assunzioni senza avere la minima idea dei suoi effetti e di eventuali conflitti con la normativa vigente; che in una parola durante il suo mandato in qualche mattina si è svegliato e ha ritenuto opportuno buttare qualche provvedimento, sempre dicendo che a monte vi erano attenti studi, ma dimostrando in ogni caso l’assoluta improvvisazione di chi non si cura per nulla di cancellare gli errori pregressi prima di rischiare di mettere altra carne al fuoco.
Resta il fatto che l’individuazione così lucida di quelli che anche per me sono alcuni dei problemi di fondo del nostro sistema di raccordo tra utenti della formazione e docenti nell’istruzione superiore mostra quanto Profumo, uomo di accademia assai più dei suoi immediati predecessori al ministero, abbia mostrato tutta la sua esperienza delle dinamiche istituzionali e sistemiche nel settore. Questo però, lungi dall’essere solo un positivo riconoscimento, finisce per gettare una luce sinistra su tutta la sua esperienza di governo. Si deve infatti a una precisa comprensione dei fatti e a un preciso disegno, e non all’ignoranza o all’inconsapevolezza dei sicuri effetti, l’adesione di Profumo all’assetto universitario nato dal punto di vista normativo a fine 2010. Pur tra i tentativi di modificare alcuni singoli aspetti fragili dal punto di vista giurisprudenziale e di sostituirli (spesso senza successo, soprattutto per il timore di evitare ritardi nell’attuazione che avrebbero avuto effetti ancora peggiori) con alcune “pezze”, il ministro ha infatti mostrato di condividere gli elementi di fondo della riforma Gelmini, ovvero:
- la riduzione di oltre il 50% dei ruoli universitari, per uniformare il sistema a quanto effettivamente lo stato intende spendere nel settore, anche a scapito della qualità, ammantando l’espulsione di professionisti che sarebbero indispensabili al mantenimento di un accettabile livello qualitativo con mai definite, e nei fatti inconsistenti perchè basate unicamente sul fattore-numero, selezioni “meritocratiche”, al fine di far ricadere sugli esclusi la colpa del loro allontanamento e di non dover pensare alle misure che un simile licenziamento di massa renderebbe necessarie;
- il consolidamento delle posizioni di privilegio maturate all’interno del sistema da diversi elementi del corpo docente e da diversi gruppi politico-culturali e professionali, attraverso l’impegno di gran parte dei pochi fondi disponibili per promozioni interne utili soltanto a rimarcare un’ancor maggiore differenza di trattamento tra chi, per puro accidente, è stato assunto, e chi no. Anche in questo caso è interessante notare, giusto per inciso, come il provvedimento sia stato presentato già dal precedente governo attraverso un gioco di parole, in cui la promozione dei ricercatori già assunti era definita in sede giornalistica “possibilità di carriera per i giovani ricercatori“, in pratica facendo credere ai lettori distratti (tra cui figurava, sorprendentemente, anche Francesco Giavazzi) che i provvedimenti che espellevano dalla vita universitaria i precari (“giovani” per definizione secondo il linguaggio comune) in realtà aiutassero ad assicurare ad essi un futuro;
- la sostituzione di una serie di rigidità amministrative ormai insopportabili con altre rigidità nella determinazione dei tempi e dei modi di utilizzo dei fondi e degli investimenti, sostanzialmente garantendo che, in modi parzialmente diversi da quanto avvenuto in precedenza, fosse sempre il ministero a dare le risposte alle domande che si faceva, ingabbiando in tal modo ogni sforzo di apertura del sistema che le più o meno finte “autonomie” avevano sempre fustrato.
Insomma, invece di mostrare la sua competenza solo adesso, con una proposta probabilmente destinata ad abortire o ad essere snaturata chissà come da chissà chi, forse Profumo avrebbe fatto una figura migliore continuando a fare il finto tontro.