Qualche minuto fa, ad “Agorà”, Andrea Vianello chiedeva a un interlocutore renziano se nel Pd non si stia svolgendo una guerra fratricida. Ho l’impressione che si stia svolgendosi una cosa noiosa. Come tutte le cose noiose che si svolgono sui media attrae tanta gente né più né meno di quel che accade quando si scontrano quelli di “Amici” o di altre trasmissioni a copione prestabilito. Ma la gente guarda per passare il tempo, mentre si prepara ad uscire, prima o dopo aver fatto pipì, sbocconcellando una mela e poi torna alle sue abitudini quotidiane. Ecco il problema delle primarie in questo preciso momento. C’è la noia di uno scontro ripetitivo che appartiene alla scena mediatica che abbiamo di fronte ma è estraneo alle nostre vite.
Credo, infatti, che nessuno di noi abbia capito che cosa può cambiare nelle nostre vite se vince l’uno o l’altro candidato delle primarie. Se i contendenti non cambiano il passo, probabilmente al voto andranno in tanti, ma il giorno dopo sarà tutto come prima. Invece le primarie dovrebbero servire a un duplice obiettivo: indicare il leader ma anche indicare la riscossa di una parte del paese che vuole mettersi sul groppone il destino di tutti. I lettori di questi miei post sanno che cosa penso. Non starò qui a ripeterlo ogni santo giorno. Vorrei cercare di ragionare attorno ai sentimenti e alle pulsioni che il modo in cui si sta svolgendo questa battaglia provoca.
Non c’è dubbio che l’animo di molti militanti del centro-sinistra sia diviso. A parte gli accesi sostenitori dell’uno o dell’altra tesi, i più sono disorientati dal furore iconoclasta della polemica sulla rottamazione. Si sa che gli italiani amano il giorno dopo. Amano dimenticare il passato, non a caso una canzone napoletana “scurdammece ‘o passato” venne scritta apposta per aiutare questa rimozione anche delle colpe personali. Tuttavia per molti non è facile digerire il mantra che tutto ciò che è accaduto in questi anni sia stato sbagliato.
Sta accadendo qualcosa che assomiglia a un Midas più affollato con rottamatori e giovani turchi che, mentore un vecchio dirigente, in questo caso Bersani, vogliono cancellare memoria lontana e recente. Il Midas vero doveva allontanare la minaccia della fine prossima di un partito, il Psi, ridotto ai minimi termini. Ora invece si vuole azzerare un partito che è sulla soglia del governo. È un’operazione un po’ bislacca.
C’è poi la ferita per il modo in cui Renzi pone le cose, che sta provocando reazioni altrettanto sconsiderate. Lo si è visto dall’Unità che ha scelto una strada che non sembrava praticabile da decenni, cioè quella della scomunica con infamia. Nell’animo di molti militanti si sta aprendo una voragine, sta emergendo una voglia di separazione, un’ ansia di distinzione dall’altro che renderà ancora più malriuscito l’amalgama del Pd. Se Renzi fosse un leader la chiuderebbe qui. Direbbe: ho posto il problema, ho avuto risposte, in un senso o nell’altro, ora passiamo al parlare del paese. Invece finge di parlare del paese, spesso con un linguaggio che sa di lezioncina imparata da pedanti spin doctor, ma la sua ossessione è far fuori quelli lì, quei due, cioè Bindi e D’Alema. Vincerà. Perderà? Non lo so. So che non è un leader per l’Italia. Né lo sarà Bersani se si laverà le mani di fronte a questa campagna che delegittima non solo persone ma storie collettive, compresa la sua.
Non stupisce quindi che di fronte allo sfarinamento totale della destra, il Pd stia solo intorno al 28%, cifra ridicola se confrontata con quella raggiunta da Veltroni di fronte a un Berlusconi trionfante. Perché Veltroni, a cui si possono fare tutte le critiche del mondo, dava l’idea di parlare al paese e per il paese. Tema assente nelle primarie. Non perché nessuno ne parli, ma perché non è il fuoco che accende gli animi, pronti a scatenarsi solo di fronte ai nomi dei futuri deputati. Basta, no? Cari miei, tiratevi un po’ su, perché se continua così ha ragione Franco Califano: «Tutto questo è noia».