Città invisibili“Roma Caput Mundi” (grazie all’integrazione)

Al Colosseo e al Foro una rassegna dedicata alla capitale dell’Impero. Osservata in maniera inconsueta. Nuova. Roma Caput Mundi, la prima mostra sul carattere della storia romana dopo la celebre Mo...

Al Colosseo e al Foro una rassegna dedicata alla capitale dell’Impero. Osservata in maniera inconsueta. Nuova. Roma Caput Mundi, la prima mostra sul carattere della storia romana dopo la celebre Mostra augustea della romanità del lontano 1937. Una mostra curata da Andrea Giardina e Fabrizio Pesando e promossa dalla Soprintendenza per i Beni archeologici di Roma. Inaugurata il 9 ottobre e aperta fino al 10 marzo 2013, Roma Caput Mundi presenta un centinaio di pezzi tra sculture, rilievi, mosaici, affreschi, bronzi e monete. Attraverso quegli oggetti, secondo uno schema frequentemente utilizzato, si narra la storia.
L’idea fondante quella di una realtà politica capace di integrare i popoli conquistati. Di una città che ha governato il mondo non solo per la sua forza militare. Ma anche, soprattutto, per la sua duttilità politica. Una mostra insomma che vuol fare piazza pulita di alcuni luoghi comuni. Di “virtù” attribuite agli antichi romani e propagandate come modello per l’Italia, all’epoca della conquista dell’Etiopia e della fondazione dell’impero. Virtù quali la disciplina, il valore bellico, lo sviluppo demografico e il valore della razza alle quali si inneggia in manifesti e copertine di riviste degli anni Trenta del secolo scorso. Oppure in alcuni film sull’antica Roma.
La rassegna aiuta a ristabilire il vero. Almeno si sforza di farlo. Ribadendo che i romani ritenevano irrilevante la purezza della stirpe, concedevano facilmente la cittadinanza a chi arrivava dalle province e parlava un’altra lingua. Liberavano gli schiavi con procedure semplici e i figli degli schiavi liberati erano cittadini di pieno diritto.
Eroi di questa storia di globalizzazione ante litteram, gli imperatori Claudio e Caracalla. La statua colossale del primo, dalla Basilica di Ercolano, si trova per l’occasione nella Curia, insieme all’epigrafe con l’orazione che pronunciò nel 48 d. C. per convincere i senatori ad accogliere tra i loro ranghi alcuni notabili delle province della Gallia Transalpina. Quel discorso un argomentato documento della grandezza di Roma. Da sempre città “aperta” che ha preferito anteporre i meriti ai privilegi della stirpe. Ugualmente nella Curia si trova la statua di Caracalla, che nel 212 d. C., concederà la cittadinanza (e dunque i requisiti per l’ascesa politica e sociale) a tutti gli abitanti dell’impero. Gli esiti di questa operazione di integrazione affiancati, non solo idealmente, dai curatori della mostra alla leggenda sulle origini della città. Claudio e Caracalla al termine di un racconto iniziato da Romolo, un non autoctono, che fece sposare la sua gente con delle straniere, le Sabine.
Roma fin dagli inizi fu una città aperta alle altre genti. Una città nella quale fu riservato agli stranieri un luogo di rifugio inviolabile, l’Asylum.
La grandezza di Roma, il risultato della commistione di civiltà differenti. L’unicità di Roma l’esito della fusione degli elementi fecondi che ciascun popolo portava in sé.
La mostra l’occasione per verificare quanto la grande Città del passato fosse pienamente inclusiva. Una città nella quale esistevano, realmente, spazi per tutti. Usciti dal percorso espositivo, ripiombati nella triste contemporaneità ci si accorge che, sfortunatamente, per tanti versi, la Roma del presente ha tradito la grandezza del passato.