Basilea 3 è un provvedimento messo a punto dai regolatori con l’obiettivo di contenere effetti e rischi di contagio del fallimento di una banca. E quindi di evitare agli Stati di dover decidere operazioni di salvataggio di istituzioni finanziarie la bancarotta delle quali comporterebbe danni di entità incalcolabile per il sistema economico.
Secondo alcuni osservatori, Basilea 3 va ricondotta nell’ambito dell’ampia produzione normativa che da alcuni anni caratterizza il contesto competitivo del settore del credito, una iper-regolamentazione fatta sia di provvedimenti strutturati ed efficaci (ed è, almeno in parte, il caso di Basilea 3), sia con forme di regolamentazione adottate sulla scia della pressione dell’opinione pubblica a fare qualcosa, perché qualcosa andava fatto di fronte a specifiche situazioni di crisi.
Basilea 3 avrebbe dovuto entrare in vigore su scala globale e coordinata a partire dal gennaio 2013 per dispiegare completamente i propri effetti entro il gennaio 2019.
E’ di pochi giorni fa la decisione degli USA di defilarsi, sulla scorta di presunte difficoltà interpretative che hanno suggerito alle autorità di ritardare _sostanzialmente sine die_ l’applicazione del provvedimento. Le banche europee hanno allora chiesto al commissario per il Mercato Interno Barnier di rivedere la timetable di introduzione delle nuove norme.
Questa presa di posizione potrà essere considerata, secondo un’interpretazione semplicistica, come il tentativo della corporazione bancaria di rinviare l’applicazione di misure prudenziali che, se differite, consentirebbero agli istituti di credito di continuare a gestire l’attività con margini di rischio maggiori di quelli previsti dal prudenziale apprezzamento stabilito nell’ambito di Basilea 3.
La realtà è un po’ più complessa: l’introduzione asimmetrica di Basilea 3 avrebbe importanti effetti distorsivi della concorrenza a livello globale. Di fronte al rinvio dell’applicazione di Basilea 3 negli USA, ma al puntuale avvio della regolamentazione in Europa, le banche statunitensi potranno infatti continuare a far riferimento a una diversa (e, sottolineo, meno conservativa) ponderazione dell’attivo patrimoniale e all’attuale politica di gestione dei rischi assunti e degli strumenti utilizzati. Le banche nord americane godranno quindi di un’indubbia condizione di maggior favore rispetto a quelle europee, sottoposte invece a vincoli normativi più stringenti che introducono pressione sulle modalità di allocazione dell’attivo, limitandone il ruolo di ingranaggio dell’economia.
Secondo alcune fonti, la decisione statunitense di sospendere l’operatività del provvedimento eviterà alle principali 20 banche del Paese di raccogliere nuovo capitale per circa 50 miliardi di US$ e di dover ridimensionare i propri attivi patrimoniali, come i nuovi limiti avrebbero imposto.
La richiesta di rinvio avanzata dalla Federazione Bancaria Europea, così come dell’ABI in Italia, appare fondata. La garanzia di un level playing field è condizione fondamentale per il corretto funzionamento del sistema bancario internazionale. La disponibilità manifestata oggi da Michel Barnier è quindi da leggere positivamente.
28 Novembre 2012