“Speziale innocente”. Già, a dirlo non è un giudice di Tribunale ne un sodale di Antonino, ma un calciatore del Cosenza – Pietro Arcidiacono – quasi sconosciuto alle cronache sportive.
Con la scritta sulla maglietta (“Speziale innocente” per l’appunto) abbiamo capito come il malvezzo tutto italiano di fare politica, giustizia (o giustizialismo) e anche “terrorismo” è tipico di chi calca i campi di gioco.
Chi ricorda chi si opponeva al 41 bis sugli spalti del Palermo Calcio? e chi inneggiava alle tigri di Arkan – noto militare e terrorista serbo – ? O i saluti romani di Paolo Di Canio, notoriamente di destra, ai suoi tifosi laziali?
Bene, la “magia” adesso si è ripetuta, con un calciatore semisconosciuto che si erge a giudice della situazione, buttando a mollo cinque anni di processi che vedono Antonino Speziale unico coinvolto nella drammatica vicenda che portò alla morte dell’agente di polizia Filippo Raciti durante gli scontri dell’amaro derby Catania – Palermo del febbraio 2007.
La vedova di Raciti ha preteso, legittimamente, le scuse. Arcidiacono ha parlato di “solidarietà” alla famiglia di Speziale e che non era sua intenzione disonorare la morte di Raciti.
Per carità, lungi dalla sua mente. Peccato che un’esibizione del genere gli sia costata tre anni di Daspo. E forse la giustizia in questo senso è stata anche troppo generosa. Chi alimenta, senza prove, coloro che hanno commesso reati di gravità assoluta come questo (ed è la giustizia italiana a provarlo), andrebbero puniti molto severamente.
Se avesse messo sulla maglietta un’innocente “mamma ti amo”, ci avrebbe guadagnato in credibilità anche se lo avrebbero scambiato per eccessivamente tenerone o coccolone.
Adesso lo ricorderemo tutti per essere stato l’ennesimo stolto ad aver scambiato fatti giuridici di una delicatezza e gravità estrema come casi da bar o da portineria.