Ho aspettato un paio di giorni a scrivere questo pezzo, vuoi per pressanti impegni lavorativi, vuoi per far scendere un po’ di clamore nei confronti di una di quelle notizie “bomba” che vengono lanciate e mai approfondite. Mi riferisco alla gazzarra di titoli su giornali e siti internet, in cui le parole chiave erano “crollo”, “abisso”, “de profundis”, titoli e articoli seguiti alla pubblicazione del “III Rapporto sul mercato immobiliare 2012” rilasciato la scorsa settimana dalla società di consulenza Nomisma, articoli in cui venivano semplicemente ripresi i dati senza cercare di fare un po’ di approfondimento. Vediamo invece qui su Linkiesta di affinare e valutare con spirito critico questi dati, e a provare a dare una chiave di lettura diversa.
Partiamo dalla disamina delle parole di Pietro Modiano, presidente di Nomisma:
Sul mercato immobiliare italiano emerge un potenziale recessivo più di quanto rifletta la lenta erosione dei prezzi che, tuttavia, nell’ultimo quadriennio ha accumulato una discesa dei valori del 10-15%.
Il nodo cruciale, però, resta il mercato finanziario. Negli ultimi mesi non sono arrivate le notizie di distensione dal mercato del credito, che fondavano sulla speranza che gli interventi europei avessero rimosso i vincoli di liquidità e si fossero trasferiti all’economia reale. Le erogazioni continuano a ridursi, non per effetto restrittivo dell’offerta, ma per un brusco indebolimento della domanda.
Parole che a mio avviso ben inquadrano la situazione generale, ma che possono essere meglio esplicate con un grafico che rende molto di più: il numero di compravendite in Italia, secondo i dati dell’Agenzia del Territorio e le previsioni Nomisma, dovrebbero scendere molto al di sotto delle 500mila unità compravendute nell’anno. E attenzione: l’IMU non c’entra con questo calo, come dicevamo a giugno.
È indubbiamente un problema di finanza, ovvero di finanziamento nell’acquisto dell’immobile (che sia semplicemente la “prima casa” o altre unità immobiliari diverse, e per diversi usi), come ben dimostra la tabella sottostante: 27,7 i miliardi di euro (prevedibilmente) erogati a fine 2012, contro i quasi 57 miliardi erogati nel 2008.
E se risulta facile e immediato dare la colpa alle “banche brutte e cattive”, anche gli istituti di credito non se la passano bene, anzi: proprio lo scorso 22 novembre l’ABI ha pubblicato il suo consueto Outlook mensile da cui emerge che le sofferenze al netto delle svalutazioni a fine settembre 2012 sono risultate pari a quasi 67,5 miliardi di euro (non tutte legate al settore immobiliare), circa 1,5 miliardi in più rispetto al mese precedente e quasi +12 miliardi rispetto a settembre 2011 (+21,6% l’incremento annuo).
Ed è questo a mio avviso il vero cuore del problema: la crisi del modello fondato sul debito. Sia per gli operatori che progettavano e implementavano operazioni per lo sviluppo di nuovi complessi immobiliari contando sull’appoggio (o meglio dire “dipendenza”) del sistema bancario; sia i consumatori finali, imprenditori e famiglie che, per il “miraggio” dell’acquisto della propria casa venduta (o meglio rifilata) come “bene rifugio per eccellenza, senza se e senza ma, che non perde mai di valore”, hanno contato anch’essi sul sistema bancario per raggiungere questo “sogno” di “sicurezza”.
Ora che le banche, obbligate dagli accordi internazionali di Basilea II prima, e Basilea III poi, sono e saranno tenute a detenere maggior capitale addizionale rispetto al passato per far fronte agli impieghi immobiliari, potremmo assistere, con molta probabilità, a cambiamenti davvero considerevoli al sistema stesso così come lo conosciamo, e come è stato costruito ed alimentato. Spiego meglio. Le banche hanno sostenuto tutto il sistema immobiliare, e ora si trovano a dover ripensare tutta la loro politica di allocazione delle risorse raccolte (o meglio depositate dal sistema famiglie-imprese), e stanno cercando difficilmente di trovare una soluzione, strette come sono dal sistema stesso – a qualcuno potrà venire in mente il classico cerino in mano – proprio perché con una situazione economica molto difficile, con tutta l’Eurozona ufficialmente (e nuovamente) in recessione dallo scorso 15 novembre, come sancito da Eurostat, il processo adottato dal sistema bancario italiano di spostare di anno in anno (non solo a livello contabile) la gestione delle sofferenze e delle insolvenze, rischia davvero di esaurirsi. E una volta esaurito, sarà tutto il sistema immobiliare a scontare la situazione.
C’è chi parla di attuare modelli di sostegno del mercato dei mutui, così come avvenuto negli Stati Uniti nel 2008, ma questa non può essere LA soluzione. Il mercato deve iniziare a ragionare seriamente in prima battuta sul fattore prezzi, o meglio, sul valore di un’immobile, e il grafico sull’andamento negli anni dello sconto medio praticato è un buon primo indicatore di questa situazione.
E se, sempre Nomisma, parla di un calo dei prezzi registrato nell’anno pari in media al 4%, e di un arretramento rispetto ai picchi della fase espansiva che ha raggiunto il 12/12,5% per il settore residenziale e direzionale e il 10% per quello commerciale, a mio avviso, riprendendo anche i dati che avevo pubblicato ad agosto pubblicati dal settimanale The Economist, siamo solo all’inizio di un calo sugli stessi livelli di grandezza, anche nei prossimi anni. Ma la questione prezzi è solo il primo passo, quello di più immediata e “semplice” soluzione e attuazione.
L’aspetto comunque di cui si parla sempre poco, è la qualità immobiliare. Qualità, in questo caso, intesa come la capacità di un immobile di rimanere sul mercato, ed è qui forse la vera chiave di lettura dei prossimi anni. Il patrimonio immobiliare italiano è vecchio (il 65% è stato costruito prima del 1976, ovvero l’entrata in vigore dei primi provvedimenti sull’efficienza energetica) come dimostrano sempre i dati di Nomisma che parlano di una quota davvero minima di immobili ad alta efficienza energetica ad essere compravenduti, e questo patrimonio è fortemente energivoro, e ciò incide pesantemente sul bilancio (spese di riscaldamento e di raffrescamento in primis) di famiglie e imprese.
Ora, se è vero che siamo solo all’inizio di questa “primavera culturale” in campo immobiliare dove si farà sempre più attenzione agli aspetti energetici, e non solo, di un edificio, è altrettanto vero che i fondi di investimento, gli operatori e investitori istituzionali, e internazionali, sono sempre più attenti, sia nella fase di scouting che in quella di riposizionamento e di gestione, a questi aspetti, e soprattutto (anche se in ordine ancora sparso) a investire nella riqualificazione. Domanda: quando questi immobili ristrutturati con un occhio di riguardo agli aspetti energetici verranno posti sul mercato, tutti gli altri immobili, o meglio i proprietari che non si saranno adeguati, e che faranno leva solo sul prezzo, questi immobili, dicevo, che fine potranno fare? La risposta è solo una.