Della serie le sventure non capitano mai sole, Lucas ha da poco divorziato e pure perso il lavoro e quando lo conosciamo si arrabatta per sbancare il lunario lavorando come assistente in un asilo. Qualche segnale di luce nella sua vita arriva quando incontra un nuovo amore che gli consente di riallacciare i fili del rapporto con il figlio adolescente. Come un fulmine impietoso a riportare su tonalità oscure la vita di Lucas è una delle bambine dell’asilo che inventando una storia come capita facilmente alla mente di un bambino, per vendicarsi di un piccolo rimprovero subìto da parte del suo maestro, fa piombare Lucas nel gorgo autodistruttivo del vocio, dell’insinuazione torbida, del raffreddamente progressivo e inesorabile del contatto umano; il brusio giorno dopo giorno si struttura in voce, la voce si fa ccorpo in storia, la storia incancrenisce in ingiuria che incendia tutto passando da un orecchio all’altro, fino all’apoteosi di una psicosi collettiva che trasforma la comunità di Lucas in un invivibile inferno. Licenziato, messo all’indice come un mostro pedofilo abietto, Lucas comincerà un calvario personale per cercare di salvare la sua dignità, lui da solo contro la voce di una bambina, di una pura e istintivamente insindacabile voce di una bambina.
Quello di cui stiamo parlando è, per fortuna un film, ma un gran bel film, certamente il più bello di quelli in circolazione in questo periodo e di cui, sommessamente, vi invitiamo alla visione. Era dall’uscita dell’indimenticabile “Festen” (1998) che Thomas Vinterberg non ci regalava un’opera così impeccabile nella scansione hitchockiana degli eventi, nella coralità perfettamente amalgamata delle voci e delle recitazioni, nella drammaticità amletica con cui l’autore mette lo spettatore di fronte ad uno dei tabù più laceranti che si possa mettere sul piatto; la sindacabilità della denuncia di un bimbo al cospetto del reato più infame di cui l’uomo possa macchiarsi, l’abuso su minore. Questo “Il sospetto” in uscita questa settimana in Italia è un vero capolavoro.
Uno strepitoso Mads Mikkelsen (miglior attore a Cannes 2012), nella canea di una comunità in rivolta che nemmeno Sam Peckinpah avrebbe saputo far muovere sulla scena con un crescendo boleriano così angosciante e serrato, cercherà un pertugio nel castello kafkiano apparentemente senza vie di fuga aggrappato alla forza della sola propria innocenza.
Se il “pensiero può farsi virus” tutto è possibile, la razionalità degenera in delirio, l’umanità lascia il passo all’istintività ferina; una voce diventa leggenda fino a fare leggenda della vita di una persona. L’idea che in Pirandello faceva di un’identità la replicazione di altre centomila o la cancellazione delle stesse, qui diventa verbo che a sua volta s’impone come un sillabo che cambia i connotati di un uomo, rendendolo mostro da additare all’odio comune. Un odio che non perdona, che incide l’anima del protagonista ma lascia un segno indelebile anche sullo sguardo dello spettatore. Il grande cinema,che ha il coraggio di affrontare anche i tabù più delicati, c’è ancora, purtroppo raramente in Italia, ma va bene anche così. Non perdete “Il sospetto“.