Debiti e usura affondano famiglie e imprese. E i tecnici che fanno?

In tre anni, dal 2010 al 2012, hanno chiuso in Italia circa 450mila aziende commerciali e artigianali. Almeno un terzo di queste ha cessato la propria attività, per grave indebitamento e usura. Par...

In tre anni, dal 2010 al 2012, hanno chiuso in Italia circa 450mila aziende commerciali e artigianali. Almeno un terzo di queste ha cessato la propria attività, per grave indebitamento e usura. Parliamo di 245 mila casi imprenditori, inghiottiti, con le loro famiglie, nelle sabbie mobili della crisi economica e della recessione. Senza che alcun governo, né quello della rivoluzione liberale di Berlusconi, né quello di solidarietà nazionale di Monti, abbiano alzato un dito per affrontare il dramma. Anche le forze politiche in Parlamento hanno girato lo sguardo da un’altra parte.
L’usura ha costretto alla chiusura cinquanta aziende al giorno e ha bruciato, nel solo 2011, 130mila posti di lavoro. L’indebitamento medio delle famiglie che ha superato i 22 mila euro (+131 per cento rispetto al 2002, anno d’introduzione dell’euro). Sono 600 mila gli italiani invischiati in patti usurai. Un terzo di questi – 200 mila – sono commercianti. Due milioni di italiani sono ad alto rischio usura e cinque milioni sono quelli espulsi dal sistema bancario. Il Lazio e la Campania sono le regioni a più alto rischio usura, ma anche le altre regioni, sia del Mezzogiorno, sia del Nord produttivo, sono state gravemente colpite dal fenomeno. Il giro di affari del prestito a strozzo è in grado di movimentare ben venti miliardi di euro l’anno.

Oggi il fenomeno è avvolto nel silenzio. “Sono passati più di 15 anni dall’approvazione della legge 108/96. La sua concreta applicazione non ha dato i frutti sperati. Il reato non è emerso in tutta la sua gravità. Il numero delle denunce è più bassi rispetto al 1996. A conferma del fatto che è crollata la fiducia nella capacità delle istituzioni di aggredire il fenomeno”. A parlare è Marco Venturi, Presidente nazionale di Confesercenti. Che, nel corso del No Usura Day – svoltosi a Roma il 21 novembre e promosso da SOS Impresa, con il sostegno di organizzazioni come Libera e Cittadinanzattiva – spiega: “L’aiuto dello Stato attraverso il Fondo di solidarietà è troppo lento, ostacolato da lungaggini burocratiche che minano alle fondamenta la fiducia delle vittime. Il Fondo di prevenzione non è più finanziato e, a causa di direttive sempre più restrittive da parte del Ministero dell’Economia, ha perso il carattere di aiuto preventivo e solidale. L’attuazione dell’azione penale è un vero dramma. L’usura di fatto è un reato depenalizzato. Raramente l’autore, o gli autori del reato, che è sempre più associativo, vengono colpiti, e, nel corso dei tre asfissianti gradi di giudizio, i processi finiscono quasi sempre in prescrizione”.

In compenso, l’azione dello Stato si fa più forte quando l’obiettivo è rimpinguare le casse. Ecco dunque l’aumento della voracità fiscale, la stretta sugli assegni di invalidità e su tutte quelle detrazioni o sostegni che danno un po’ di respiro alle famiglie, le verifiche vessatorie di Equitalia ciecamente indifferenti alle condizioni reali dei cittadini in difficoltà e ai motivi profondi della loro posizione debitoria. A ciò si aggiunga la profonda crisi del credito, per la quale il sistema bancario ha responsabilità importanti, ma, con esso, una politica (governo dei tecnici, incluso) completamente assente.
Intanto, vince il credito clandestino. Mutato nel tempo, sempre più professionalizzato, ha visto affacciarsi nuovi e inediti prestatori di denaro e nuove vittime, molto diverse dai cliché tradizionali. Preoccupa particolarmente l’usura di mafia che rappresenta il 40 per cento di tutti i casi censiti nel 2011. E non si può dimenticare che le enormi risorse in nero che alimentano il mercato dell’usura sono spesso, da una parte, il frutto di evasione fiscale e, dall’altra, lo strumento per alimentare la piccola e grande corruzione di ufficiali pubblici e politici. Ecco dei motivi in più per recuperare quei 20 miliardi di risorse impegnate nei prestiti usurai e reinvestirle nello sviluppo sociale (in questa direzione va, per esempio, la Campagna Ridateceli! di Cittadinanzattiva).

Le associazioni e fondazioni antiracket, raccolte intorno alla Rete per la legalità, sostengono una proposta di legge di riforma che giace inascoltata in Parlamento. Farebbe bene a tutti, anche ai soloni dell’economia che commentano e a quelli dell’accademia che governano, occuparsi un po’ dell’economia reale e dei diritti dei cittadini.

@vittorioferla

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