MamboDopo le primarie la sfida per il Pd sarà gestire il pluralismo

Nella vita interna del Pd non sappiamo quali strascichi lascerà la campagna delle primarie. Troppo aspra all’inizio, più misurata nel finale. Renzi è partito lancia in resta ma poi via via si è cal...

Nella vita interna del Pd non sappiamo quali strascichi lascerà la campagna delle primarie. Troppo aspra all’inizio, più misurata nel finale. Renzi è partito lancia in resta ma poi via via si è calmato. Grande merito va soprattutto a D’Alema e Veltroni che con la loro rinuncia hanno disinnescato la bomba della rottamazione.

È un vero peccato che Rosi Bindi non abbia capito il valore di un ritiro che l’avrebbe consegnata al ruolo di madre nobile del partito. Ciò che resta delle polemiche è la discussione su alcune parole (perché Renzi parla di “scagnozzi” quando si riferisce ai sostenitori di Bersani?), e l’accusa sotto traccia al sindaco di Firenze di essere prigioniero di finanzieri spregiudicati. Tutto sommato nelle elezioni americane se ne dicono di peggio. Il tema di queste ore, chiunque vinca ma probabilmente sarà Bersani, è quello della ricomposizione.

Perché una cosa è certa: lo scontro ha fatto bene al Pd, ha dimostrato che la guida del partito è contendibile, ha dato alla corrente più di destra, uso questo antica etichetta per indicare il mondo di Renzi, un ruolo fuori dal buonismo veltroniano che ne è stato l’antecedente. Il renzismo ha sdoganato il moderatismo nella sinistra. Gli ha dato un alone di modernità, la suggestione della possibile vittoria, lo ha messo nelle condizioni di offrire al mondo di fuori una interlocuzione con il mondo di dentro.

Voglio dire che a Renzi va riconosciuto di aver cercato di costruire una leadership da una posizione difficile e solitamente ostica per chi vive in un partito di sinistra, cioè una leadership che cerca nemici a sinistra. È una soluzione che non mi piace ma che finora era consegnata nelle mani di minoranze e che invece dopo Renzi diventa una possibile alternativa di governo del partito.

Ricomporre non vuol dire adattamento opportunistico con gli sconfitti che lucrano sull’insuccesso, ma vuol dire esaltare le differenze e dare agli elettori la possibilità di vedere nel Pd un partito veramente plurale. Questa contrapposizione di ruoli è stata molto vivo nel Psi e si è manifestato nell’ultimo Pci. Nel Pd c’è stata a lungo una inguardabile e indigeribile melassa in cui tutti si esaltavano per la straordinaria novità della costruzione dimenticando che per fare un partito unitario è bene che le culture si fronteggino anche duramente.

Con Renzi è avvenuto. È avvenuto in parte, è avvenuto con troppe suggestioni mediatiche, ma è avvenuto. Ora il Pd dovrà gestire questa pluralismo e dovrà farlo nel momento più importante della sua storia. Sta avvenendo che la contestazione alla politica ha il vento in poppa e che la destra si sta fragorosamente sfarinando sotto i colpi delle dissolutezze private di Berlusconi. A sinistra molti pensano che questo ultimo fenomeno vada osservato, persino con legittimo compiacimento, ma che sia estraneo al destino del Pd. Gli scontenti e gli arrabbiati di destra vadano con Grillo: sembra questo l’atteggiamento prevalente. Invece il successo anche mediatico del renzismo può dare una possibilità e aprire una prospettiva. Il discorso pubblico di Renzi se all’indomani del voto non verrà demonizzato e se non partirà la caccia ai perdenti può dare al Pd, rassicurato dalla vittoria di Bersani, la possibilità di aprire un canale con il mondo di destra in disfacimento.

Il tema delle democrazia italiana sta tutto qui. Sta nella capacità del Pd di non perdere contatto con la sua base di sinistra, incazzata e confusa, ma anche con un mondo di destra che rischia di non avere più soggettività politica. Una leadership condivisa fra Bersani e Renzi, che non significa confusione di ruoli, ma vuol dire accettazione della diversità, può dare al Pd quel ruolo di partito centrale della politica italiana di cui si sente un grande bisogno. Se Bersani vincerà dovrà legittimare ex post la campagna politica di Renzi, fare propri alcuni contenuti, dare un ruolo al perdente che non sia burocratico ma che lo indichi come leader dell’intero partito. Non sto proponendo a Bersani maggiore bonomia, già ne ha abbastanza, Gli sto proponendo di dire al paese che lo scontro nel Pd non è stato inutile, che c’erano ragioni anche dall’altra parte, che l’altra parte ha un diritto di cittadinanza pari al suo.

Probabilmente il voto di domenica indicherà un netto spostamento a sinistra del centro-sinistra con la vittoria quasi certa, anche se forse non al primo turno, di Bersani, e il buon risultato di Vedola. Proprio per questo il modo in cui il vincitore saprà inglobare le ragioni del soccombente darà una fisionomia nuova al partito. Chi come me è convinto che la prospettiva della sinistra italiana sia la socialdemocrazia e ne è convinto soprattutto perché l’unificazione europea darà a questa prospettiva un carattere cogente, si augura che nel Pd rinnovato dalle primarie ci sia un vero pluralismo interno, strutturato e competitivo. Renzi dovrà fare il vero salto di qualità dimostrando che la sua battaglia non è stata solo mediatica ma è capace di costruire culture e di durare nel tempo. E’ giovane, è intelligente, a molti, anche a me, è antipatico, ma può farlo.

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