Cyber Warfare#Dronestagram, l’account per mostrare dove bombarda l’America

Il web inizia a interessarsi sempre più dei droni, i veivovoli pilotati a distanza ed utilizzati dagli Stati Uniti in teatri di guerra per sorvegliare o attaccare. Domande, dubbi, speculazioni e nu...

Il web inizia a interessarsi sempre più dei droni, i veivovoli pilotati a distanza ed utilizzati dagli Stati Uniti in teatri di guerra per sorvegliare o attaccare. Domande, dubbi, speculazioni e nuove interpretazioni di questa tecnologia si fanno strada in rete, anche ai non adetti ai lavori.
Dronestagram, un sito con le foto dei luoghi bombardati, è l’ultimo esempio.


The drone’s-eye view. Così si presenta Dronestagram su Twitter, Instagram e Tumblr. La vista dall’occhio del drone. Poco prima che bombardi un punto dove, secondo le informazioni in mano all’esercito statunitense, si trova un gruppo di terroristi da colpire.

È un nuovo servizio creato da James Bridle, un ragazzo di Londra, che si basa sulle informazioni rilasciate dal “Bureau of Investigative Journalism”, ente che raccoglie tutti i dati sugli attacchi dei droni, e su Google Maps, utilizzato per fare una “foto” dal cielo al punto colpito dall’attacco drone. Ovviamente le foto che vedrete su Dronestagram saranno tutte antecedenti all’attacco vero e proprio, visto che le mappe satellitari di Google si aggiornano di rado. Ma è comunque un passo avanti, dice l’autore, perchè il drone è una tecnologia che agisce a chilometri e chilometri di distanza (alcuni sorvolano il medio oriente ma vengono pilotati dalle basi dell’Air Force negli States) e per questo bisogna portare l’attenzione sui territori attaccati, che potrebbero sembrare finti o irreali a molti. «È una semplice mappa, ma può creare empatia».

Dronestagram non è il primo segnale che in rete la società si sta ponendo dei dubbi, o comunque si stia incuriosendo, sul tema dei droni e di ciò che comportano. Non solo le inchieste dei principali media internazionali o le statistiche degli istituti di ricerca, ma anche persone comuni non ferrate in materie che si sono avvicinate all’argomento. Un esempio su tutti: qualche mese fa su questo blog ho parlato di Drones+, una app per iPhone (bloccata da Apple) che metteva in risalto tutti i punti del mondo in cui un drone aveva attacco, sempre basandosi su Google Maps e i dati del Bureau of Investigative Journalism.

Il Dipartimento della Difesa, da quando Obama vive alla Casa Bianca, ha autorizzato circa 300 attacchi tramite droni, tutti sparsi per Yemen, Pakistan e Somalia; e nessuno al Pentagono nasconde che questa mezzo di lotta al terrorismo sia non solo il principale, ma anche quello su cui costruire la strategia nel lungo periodo.
Ma l’opinione pubblica si smuove, i media scrivono e parlano, la comunità internazionale guarda sospettosa: l’Amministrazione Obama, così, deve trovare un modo per sciogliere i dubbi sulle sue strategie legate all’utilizzo di questa tecnologia. Deve essere meno ermetica, innanzitutto, e dare l’impressione di essere sempre ben ponderata e mirata, senza errori ed effetti collaterali. «Quello che vogliamo fare è avere un insieme di regole precise, di criteri, per avere un processo decisionale che governi tutte le nostre azioni di guerra al terrorismo in modo tale che, a prescindere dal luogo in cui esse sono portate avanti, siamo sicuri che vengono fatte nel modo giusto, con gli obiettivi giusti», citando John Brennan, consigliere speciale del presidente.

Droni e kill lists, diritto bellico e Disposition Matrix (il database del Pentagono che traccia i terroristi e determina quando e chi colpire), segretezza e opinione pubblica. Qui si gioca la partita della strategia militare di Obama, che a forza di account Instagram e app per iPhone potrebbe anche venire riscritta.

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