Nel mirinoEpea: l’identità europea in mostra a Lucca

“Whispering Howls” photo by Hannah Modigh Domenica ero a Lucca per l'inaugurazione della mostra della prima edizione di Epea, L’European Photo Exhibition Award, una manifestazione promossa dalla F...

“Whispering Howls” photo by Hannah Modigh

Domenica ero a Lucca per l’inaugurazione della mostra della prima edizione di Epea, L’European Photo Exhibition Award, una manifestazione promossa dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca (Italia), dalla Fundção Calouste Gulbenkian (Portogallo), dall’Institusjonen Fritt Ord (Norvegia) e dal Körber-Stiftung (Germania).

I lavori, in mostra fino al 6 gennaio 2013 alla Fondazione Banca del Monte di Lucca, sono il frutto di un progetto durato due anni, due anni in cui 12 giovani fotografi europei selezionati da 4 curatori anch’essi europei si sono confrontati sul tema scelto per questa prima edizione : identità Europee.

Un progetto ambizioso e intelligente Epea che, grazie alla creazione di un uno spazio in cui fotografi giovani e talentuosi possono sviluppare e discutere le istanze sociali che concernono l’Europa, diventa un passo importante e necessario verso una maggiore condivisione culturale: un aspetto imprescindibile per uno stato che pretende di condividere politiche monetarie e finanziarie.

Per Epea, ogni fondazione che ho citato all’inizio ha scelto un curatore: Rune Eraker, norvegese, Sérgio Mah, portoghese, Enrico Stefanelli, italiano e Ingo Taubhorn, tedesco; poi ogni curatore ha scelto 3 fotografi, e tutti insieme si sono incontrati in diversi workshop nel corso dei due anni per confrontarsi e condividere il proprio lavoro sul tema assegnato.

I 12 fotografi selezionati per questa edizione sono Catarina Botelho, José Pedro Cortes, Gabriele Croppi, João Grama, Monica Larsen, Frederic Lezmi, Pietro Masturzo, Hannah Modigh, Davide Monteleone, Linn Schröder, Marie Sjøvold, Isabelle Wenzel.

Quella di Lucca è la terza tappa di questa mostra, che dopo Amburgo e Parigi finirà il suo viaggio a marzo nel Nobel Peace Center di Oslo.

“Closer in the distance” photo by Monica Larsen

Dei 12 lavori quelli che mi hanno colpito di più sono – in ordine alfabetico – “Closer in the distance” della norvegese Monica Larsen, “Retour Parti” di Pietro Masturzo, “Whispering Howls” della Svedese Hannah Modigh, “Harragas” di Davide Monteleone e “Midnight Milk” della norvegese Marie Sjøvold.

“Closer in the distance” photo by Monica Larsen

Monica Larsen affronta il modo in cui l’identità è legata a un luogo; la sua è una storia femminile di emigrazione e maternità, di donne che hanno lasciato la Lituania per lavorare nel nord artico della Norvegia, consapevoli che l’assistenza sociale Norvegese avrebbe reso sicuro il loro futuro.

“Closer in the distance” photo by Monica Larsen

“Mi sono appassionata a questa storia dopo aver scoperto il forte senso di sfasamento nelle donne lituane che ho incontrato. Nonostante avessero vissuto nel duro nord artico per un certo periodo, sembravano assenti sebbene fossero presenti. Come se appartenessero ad un altro luogo”.

“Closer in the distance” photo by Monica Larsen

Nelle immagini di Monica si sente il silenzio, si percepisce l’atmosfera ovattata e surreale, il disorientamento e la solitudine.

“Retour Parti” Photo by Pietro Masturzo

Pietro Masturzo, napoletano, vincitore del World Press Photo nel 2010 con l’immagine di una donna che urla da un tetto di Teheran, per Epea si è “allontanato” dal suo genere fotografico – il fotogiornalismo – e ha guardato dentro di sé, la propria storia e le sue origini. E’ un lavoro molto commovente e poetico quello di Pietro, in cui – come lui stesso racconta – l’obiettivo non è la fotografia finale in sé, ma la ricerca.

Il punto di partenza è una lettera. Una lettera che Pietro ha trovato in casa della nonna materna poco dopo la sua morte. Era conservata nel suo cassetto dal 1937, da quando l’aveva inviata a sua madre a Odessa e le era tornata indietro perché a quell’indirizzo non abitava più nessuno.

Della nonna, con cui Pietro ha vissuto fino ai 18 anni, sapeva soltanto che era nata a Odessa nel 1912, e che a diciannove anni aveva conosciuto un marinaio italiano ed era andata via per sempre dal suo paese, che lei chiamava Russia.

“Retour Parti” Photo by Pietro Masturzo

“Sono arrivato alla stazione ferroviaria di Odessa con qualche vecchia foto, qualche ricordo dei pochi racconti di mia nonna e la lettera, che per la seconda volta attraversava l’Europa in cerca di una destinazione. Ho vagato per le strade di una città che un po’ mi appartiene, ho bussato alle porte di forse-parenti e ho deposto fiori sulle tombe di sconosciuti familiari; ho passato ore a sbirciare in polverosi archivi in cui sono conservati fascicoli ancora più polverosi e tenuti segreti fino a qualche anno fa. Ho scoperto di una famiglia di origine polacca emigrata a Odessa, della storia di due genitori, quelli di mia nonna, arrestati nel 1937 e deportati in Siberia; di un fratello fucilato dal regime sovietico e di un altro dai tedeschi. Di due vecchie zie, superstiti, che continuo a cercare”.

“Retour Parti” è il diario di viaggio visivo di Pietro, ed è composto da 43 fotografie, la busta della lettera incorniciata e un video; una storia personale, intima, che racconta in realtà la storia dell’Europa, una storia individuale che diventa universale, di tutti noi.

“Whispering Howls” photo by Hannah Modigh

Con “Whispering Howls” la svedese Hannah Modigh sceglie un fase della vita, quella del delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta, come metafora universale per raccontare l’identità europea. Insieme alle fotografie, a confermare la sua tesi Hannah presenta degli estratti dal diario suo e di suo fratello all’età di quindici anni

“Whispering Howls” photo by Hannah Modigh

“(…) Sai di essere viva attraverso la sofferenza. Quando soffri sai che sei viva. Spero di imparare ad apprezzare la vita. Devo cominciare a fare qualcosa adesso o non avrò più tempo. Sento come se dovessi morire giovane. Non penso che qualcuno possa mai essere completamente felice, vogliono tutti qualcosa di più. Passo continuamente dalla speranza alla disperazione. L’inverno è deprimente – soprattutto dove vivo. Non è una cosa buona per me stare qui troppo a lungo. Comunque, ci sono alcune cose positive qui. Non penso che nessuno possa provare un legame così affettuoso e forte come quello che proviamo tra noi nel mio gruppo di amici. I momenti migliori sono quando siamo vicini all’oceano o in un posto carino a bere vino. Vorrei potesse essere così per sempre.” [Dal diario di Hannah Modigh, all’età di 15 anni, 1995]

“Harragas” photo by Davide Monteleone

Davide Monteleone ha prodotto per Epea un lavoro in cui il fotogiornalismo si contamina con l’arte concettuale, producendo delle immagini in cui la rappresentazione diviene più importante dell’oggetto stesso.

“Harragas” photo by Davide Monteleone

Il suo “Harragas” (in arabo “coloro che bruciano”) è composto da still life, video-ritratti e foto documentarie, in cui Monteleone si interroga su che senso possa avere parlare di identità e appartenenza in relazione ad un luogo geografico nel caso degli immigrati illegali provenienti da Marocco, Algeria, Tunisia e Libia che, quando sono sul punto di essere arrestati, bruciano i loro documenti in modo tale da perdere le loro identità.

“Harragas” photo by Davide Monteleone

“Avendo compiuto un viaggio simile, ho capito che per gli emigranti questa esperienza costituisce una profonda frammentazione della loro esistenza in una serie di momenti che si susseguono. Osservare e documentare le storie e gli effetti personali di quelli che hanno provato ad arrivare “dall’altra parte” mostra la voglia di riscattarsi da una serie di violazioni della condizione umana e la determinazione di iniziare una nuova vita.”

“Midnight Milk” photo by Marie Sjøvold

Infine la norvegese Marie Sjøvold con “Midnight Milk” utilizza se stessa, il proprio corpo e le sue trasformazioni durante la gravidanza per esplorare l’identità delle donne europee in generale.

“Midnight Milk” photo by Marie Sjøvold

“Tre anni fa sono diventata madre. Mentre scrivo, aspetto il mio secondo figlio. Come altre donne europee, fatico a ridefinire la mia identità e a trovare un equilibrio in questa nuova situazione. Sulla base della mia esperienza fino ad oggi, non è facile trovare un equilibrio fra il mio ruolo di madre che prende parte alla vita di una comunità, essere madre, donna, amante, amica, lavoratrice, collega e figlia. Sebbene io sia sempre la stessa persona, posso percepire costantemente come i miei ruoli cambino con le mie responsabilità, i cambiamenti dei nostri tempi e le storie dei nostri antenati.”

“Midnight Milk” photo by Marie Sjøvold

Un progetto importante ora come non mai Epea, che attraverso l’arte ci dimostra che prima ancora di essere italiani o norvegesi o europei o africani, siamo tutti esseri umani, che la storia si ripete, e che quello che noi percepiamo come diversità altro non è che uno smarrimento generazionale o geografico delle medesime istanze. Così il lavoro di questi 12 fotografi diventa un piccolo, prezioso passo per l’abbattimento degli stereotipi: un antidoto contro la diffidenza.

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