Sono sempre molto attenta a come rispondo al mondo: e ogni volta scopro paure nascoste e nervi scoperti. Anche nevrosi, a dirla tutta. Anche oggi l’ho incontrata e ho avuto la solita reazione di angoscia e insofferenza.
Lei è straniera, di origini rom. Vive, sola, in una roulotte parcheggiata lungo l’Appia. Ha una trentina d’anni: quando la guardi, capisci subito che qualcosa non va. Non vedi una “gitana”, vedi solo una tipa “stramba”: è capace di indossare tre foulard uno sull’altro, oppure due pantaloni e una gonna corta sopra, un solo guanto e una scarpa diversa dall’altra.
Da piccola, non giocavo molto con le bambole, ma credo proprio che vesta se stessa come le bambine si divertono ad acconciare le proprie amiche di plastica.
Bambole: il particolare più incredibile di questa donna è che ha sempre, in braccio, un bambolotto. Lo culla, gli parla, quando fa freddo lo avvolge in uno scialle e quando è caldo gli mette addosso vestitini leggeri e colorati. Le prime volte ho creduto che fosse un neonato in carne ed ossa, tanto devote e verosimili mi apparivano la cura e le attenzioni della donna: l’unico segno di una residua sensatezza.
Un giorno ci siamo incrociate. Camminavamo sullo stesso marciapiede e si avvicinò talmente tanto che ne sentii l’odore acre della vita di strada: proprio come fanno i bambini che non si sanno regolare, ignorò completamente una delle regole auree della socialità, quella che impone una distanza minima di sicurezza, necessaria tra due corpi estranei. Fu impossibile capire quello che mi diceva: parlava in una lingua che per metà era inventata e per l’altra metà era un miscuglio inconfondibile di “italromeno”. La mia reazione fu imbarazzante: di ansia e rabbia. Anche fisica: l’avrei spinta all’indietro, fino a farla cadere. Mi sentii violenta e capace di gesti odiosi.
Da allora, ho iniziato a ragionare sulle regole, sul loro potere simbolico, sulla loro funzione unificante per la comunità che le accetta come tacite. La salute mentale non fa eccezione, se ci pensiamo bene: è come se quella donna avesse deragliato, fosse uscita fuori dai propri “binari di senso”, seguendo una “storia” che nessuno – tranne lei – riesce a comprendere. Per questo, paga il prezzo di una doppia emarginazione, anche rispetto alla propria comunità. Ed ecco perché la sua immagine mi è tanto insopportabile: ha una tale carica tragica, una radicalità così evidente, da provocare un cortocircuito: che accende una tremenda consapevolezza. Quella che tutti possiamo perderci. Basta un attimo e sei fuori da quella porta.