Riposizionare i concetti di ristoratore e ristorante. Ecco l’input culturale di oggi.
«Io faccio cultura» dice con fierezza Herbert Hintner che è uno chef bolzanino.
La cucina va di moda. Non mancano programmi tv, libri, ricette fast, corsi e gare. Eppure per Hintner la base di tutto sono studio e semplicità. «I cuochi sono persone di cultura che raccontano la storia di un territorio e rispettano socialmente il produttore e quello che fa. C’è tanto cibo industriale nelle tavole che ha una storia finta alle spalle che è fatta solo di business. Il problema oggi è la standardizzazione della ristorazione giudicata grazie a cappelli e stellette».
Herbert Hintner, chef bolzanino
La provocazione è stata lanciata in questi giorni a Venezia al Salone europeo della cultura. Si parla di tradizione (i sapori del passato) e di tecnologia (uso delle cotture e nuovi condimenti). Il mix è: la tecnologia aiuta ad andare avanti, ma la necessità è tornare ai gusti antichi perché, c’è chi lo sostiene con forza, si sta esaurendo il vento dell’Est (quello del boom della cucina prima cinese poi giapponese) e l’Italia è chiamata a giocare un ruolo da protagonista. Ma come?
Anche il cibo è cultura. Affermazione unanimemente riconosciuta. Quello che non è scontato è definire i ristoranti delle «agenzie culturali». Lo fa Davide Rampello, oggi direttore artistico Padiglione zero Expo 2015. «Nei ristoranti – spiega – entrano il tema della biodiversità e della conservazione del territorio. E questo andrebbe spiegato nelle guide che li narrano, oggi chiamate a uscire dai vecchi stilemi».
Bisogna riposizionare, però, anche l’agricoltura per anni etichettata settore primario lontano dalla manifattura. «Anche il contadino è uno scienziato – precisa Rampello – forse non ha gergo e lessico all’altezza e soffre per essere sempre stato descritto come zotico ma ha la sapienza del fare. Sa come seminare, dove far pascolare le pecore, come irrigare i campi. La potatura non è forse un saper fare? Ogni conoscenza rende intelligenti e sensibili. Ogni tipo di conoscenza» rimarca Rampello.
Ed ecco l’idea: narrare nelle guide enogastronomiche il processo che sta dietro le cose: come si crea quel tipo di ortaggio, quel legume, da dove deriva il latte, con quale agnello di confeziona il piatto e perché. Legando i diversi saperi, dalla terra al piatto.
Alla fine, anche il ritorno alla tradizione è sperimentazione.
«La tradizione è sempre stata ricerca, è la storia dell’ibridazione e dei cambiamenti. Bisogna studiare il passato e vedere tutto quello che è stato fatto» dice Rampello.
Parola di Alessandro Dal Degan giovanissimo chef che studia nei vecchi libri l’uso che si faceva in passato di 60 diversi tipi di erbe. E frequenta la biblioteca.