WildItaly.netIl caso Di Pietro-Report: killeraggio o giornalismo?

  In cosa consiste esattamente il putiferio che ha coinvolto Antonio Di Pietro dalla serata di domenica, con la messa in onda della puntata di Report di Milena Gabanelli? Qualcuno sa individuare es...

In cosa consiste esattamente il putiferio che ha coinvolto Antonio Di Pietro dalla serata di domenica, con la messa in onda della puntata di Report di Milena Gabanelli? Qualcuno sa individuare esattamente le critiche più o meno dirette mosse dalla trasmissione, le stesse che hanno portato Di Pietro a dire che «l’Idv è finita domenica sera» e a rivolgersi al comico Maurizio Crozza parlando di «killeraggio mediatico»? Qualcuno ha effettivamente spiegato perché, in seguito a Report, l’Idv sia ormai vicinissima ad una scissione mortale?

Seguendo il resoconto stenografico della puntata (fonte dei successivi virgolettati), possiamo individuare in totale dieci accuse mosse contro il fondatore dell’Idv:

1) omesso controllo sulla gestione dei finanziamenti regionali in Emilia Romagna, fino al 2010 in mano al solo Paolo Nanni, oggi indagato per peculato;

2) gestione semifamiliare delle casse del partito, in mano fino al 2009 – per 45 milioni di euro totali – a sole tre persone (lo stesso Di Pietro, la cassiera storica del partito Silvana Mura e Mario Di Domenico, sostituito nel 2004 con la moglie dello stesso ex pm) grazie all’«Associazione Idv» e solo in seguito sotto il controllo dell’Ufficio di presidenza;

3) utilizzo dei rimborsi elettorali nell’acquisto di diverse proprietà da parte della famiglia Di Pietro (45 in totale, «dato che comprende anche i terreni, le cantine, i garage»);

4) aver dichiarato di essersi avvalso per la maggior parte degli acquisti dei risarcimenti ottenuti in seguito alle cause vinte per diffamazione contro gli house organ berlusconiani, che arrivano però – stando a Report – a meno di un milione di euro attuali, su un totale di 5 milioni e 210 mila euro stimati – per difetto – da un perito di parte per la valutazione del patrimonio immobiliare;

5) utilizzo di parte dell’eredità (954 milioni di lire totali) donatagli nel 1995 da Maria Virginia Borletti a titolo quasi esclusivamente personale – per l’acquisto di diverse proprietà? – e non a fini politici, come invece ha fatto Romano Prodi, altro beneficiario dell’eredità per 545 milioni di lire;

6) creazione nel 2004 di una società immobiliare, l’AN.TO.CRI (comprendente nel CdA la solita Silvana Mura), utilizzata anche per affittare una proprietà al suo partito, che così lo ha aiutato nel pagare il mutuo;

7) utilizzo di parte dei rimborsi elettorali per ristrutturare la sua casa, che lo stesso Di Pietro indica però come sede del partito;

8) essere, come Bossi, «tutto casa e famiglia», con Cristiano, la moglie, il genero e il parente acquisito piazzati bellamente in politica;

9) come per gli altri partiti, affidamento dei bilanci nazionali del partito ai revisori dei conti, scelti però dagli stessi gruppi parlamentari e privati a priori dei mezzi per verificarne effettivamente la veridicità;

10) omesso controllo sulla gestione dei finanziamenti regionali nel Lazio, con l’approvazione anche da parte del gruppo consiliare dell’Idv dell’aumento a 14 milioni di euro della somma dei rimborsi totali ai partiti e l’esplosione del caso Maruccio.

Preme innanzitutto evidenziare un paio di questioni: i punti 2 e 3 sono già stati oggetto di diverse indagini, tutte poi archiviate. Questi, assieme ai punti 6 e 7, hanno inoltre rappresentato il fulcro di ripetute inchieste da parte dei giornali di centrodestra e dei Radicali, alle quali l’ex pm ha sempre risposto, fornendo a più riprese la sua versione dei fatti e ottenendo diverse vittorie contro i grandi accusatori Elio Veltri e Mario Di Domenico, entrambi fonti di Report e, in precedenza, delle inchieste del giornalismo berlusconiano, già condannati in appello per diffamazione ai danni dello stesso Di Pietro.

Come uniche novità del lavoro di Report, restano le questioni sollevate dai punti 1 e 10 (tranquillamente accorpabili), 4, 5, 8 e 9. Il quinto è stato chiarito dall’interessato a Repubblica TV il 24 ottobre, per rispondere proprio ad una delle anticipazioni di Report: la donazione della Borletti era priva di condizioni e Di Pietro non era ancora entrato in politica con un suo movimento.

Fino a questo punto, tutte le giustificazioni del leader Idv – spesso basate sulle sentenze – sono disponibili sul suo blog (trovate tutto qui e qui). Aspettando che, come ha annunciato, Di Pietro permetta di verificare la consistenza dei risarcimenti per diffamazione incassati in questi anni (punto 4), restano le questioni forse più delicate (punti 1, 8, 9 e 10), cui il grande accusato – al di là della sterile difesa del suo Trota – non ha saputo contrapporre nulla, se non una presa d’atto d’ufficio.

In attesa di ulteriori domande e risposte, restano ora solo alcune possibili riflessioni. In primis, serve constatare l’assenza di un’effettiva differenza tra l’Idv e gli altri partiti, confermata proprio dal familismo antimeritocratico e dalla mancanza di una selezione dei candidati (propedeutica ai casi De Gregorio, Scilipoti e Razzi), del loro controllo e di una effettiva rendicontazione dei bilanci nazionali che – al di là di Di Pietro – coinvolge anche gli increduli, come Donadi, pronto ora a processare il leader dopo averne condiviso il progetto e, quindi, tutte le scelte.

Secondariamente, restano le domande su Di Pietro stesso: come ci insegnano 18 anni di berlusconismo, non bastano le sentenze per valutare un politico.

Senza tirare iperbolicamente in ballo Berlusconi, sono molti gli onorevoli formalmente incensurati, come Di Pietro; resta però, per loro e per lui, il giudizio etico che i tribunali non possono (e non devono assolutamente) dare. Hanno sicuramente ragione Grillo e Travaglio a dire che Di Pietro – per usare le parole del primo – è «l’unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei»: restano però troppi gli errori, spesso purtroppo reiterati, quasi sicuramente oltre il limite dell’accettabile per il suo stesso elettorato.

L’ultima riflessione riguarda infine il giornalismo italiano, al quale vanno poste diverse domande: al di là della rispettabilità guadagnatasi nel corso degli anni da Report, cosa cambia rispetto agli approfondimenti di qualche anno fa dei quotidiani di centrodestra? Sorvolando solo per un attimo sull’anomalia democratica del giornalismo berlusconiano, è normale che un’inchiesta giornalistica possa avere questi effetti solo a distanza di anni (illuminante al riguardo Facci)? Infine, a quando un approfondimento di oltre un’ora (il tempo dedicato all’Idv) per il Pd di Lusi, l’Udc di Naro, la Lega di Belsito e il Pdl dei vari Batman – tutti coinvolti pesantemente a livello penale – per esaurire la fondamentale inchiesta sui rimborsi elettorali in Italia?

ALESSANDRO BAMPA