È sempre difficile dire addio alle persone con cui si è percorsa una strada lunga e per tanto tempo. In ogni caso è sempre difficile e complicato abbandonare “casa”. Comunque non è mai un atto senza strappi.
Mi ha fatto impressione leggere che Rossana Rossanda abbandona il manifesto. Al di là delle ragioni dichiarate, questo epilogo ha il sapore di una vicenda malinconica, come se un giornale che ha avuto firme di rilievo, che hanno fatto pensare molti in questi anni e me con loro, anche quando non erano d’accordo, e che ha avuto collaboratori che talora come una meteora hanno attraversato il campo lungo l’intero asse destra/sinistra (ne ricordo uno solo, simbolico: Gianni Baget Bozzo) oppure intellettuali che hanno segnato una riflessione profonda in molte discipline, non sia stato in grado, oggi, di trovare lo spazio, le parole, per tenere insieme percorsi diversi.
Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924), è stata tra le fondatrici de il manifesto nel 1969
Non so le ragioni, ma forse non c’è una questione di ragioni e di torti. Forse semplicemente tutto deve finire e il Manifesto, come storia collettiva (il che vuol dire anche come capacità di riflessione divergente, strabica, comunque non ortodossa), era finita da tempo.
È vero, peraltro, che per dichiarare finita un’avventura (intellettuale, ma soprattutto umana) occorre che si definisca un rito in cui si rende anche omaggio a una storia e si riconosce il valore che essa ha avuto.
Ma in tutti questi anni, quando forse quella morte era già nei fatti, nessuno ha celebrato una riflessione che rendesse conto di quella storia e chiudesse definitivamente un capitolo. Il supplemento di vita alla fine non era il segno della vivacità, ma solo della sopravvivenza.