Zhongnanhai e dintorniLa Cina e la “convergenza di interessi”

All'indomani del congresso del Partito comunista cinese è interessante prestare attenzione alle recenti riflessioni teoriche di Zheng Bijian, presidente dell'Istituto cinese di innovazione e strate...

All’indomani del congresso del Partito comunista cinese è interessante prestare attenzione alle recenti riflessioni teoriche di Zheng Bijian, presidente dell’Istituto cinese di innovazione e strategia dello sviluppo e conosciuto come padre della teorizzazione dell’”Ascesa pacifica” della Cina che tanto ha influenzato le politica internazionale della generazione di governo guidata dal presidente Hu Jintao e che, con ogni probabilità, verrà portata avanti da quella di Xi Jingping. In occasione di un dibattito sul dialogo tra Cina ed Europa, l’ex vice-direttore della Scuola centrale del PCC, ha proposto il concetto strategico dell’ampliamento e dell’approfondimento della “convergenza di interessi” e della costruzione di “comunità di interessi”(1).

Ribadito il carattere pacifico della crescita cinese, anche alla luce delle opportunità di sviluppo e crescita che questa offre al mondo intero, lo studioso indica per il suo Paese la necessità di “allargare gradualmente la convergenza di interessi e di costruire comunità di interessi con i suoi vicini e le regioni circostanti, così come con tutti i Paesi e le regioni”. In un ambiente internazionale caratterizzato da crescente interdipendenza e di interessi profondamente intrecciati, nel suo percorso di crescita la Cina “può e deve formare con vari Paesi e le regioni delle comunità di interessi in diversi settori e a diversi livelli che non possano essere facilmente interrotte”. Siamo di fronte, quindi, ad una “win-win strategy” (politica di mutuo beneficio) flessibile, capace di individuare, volta per volta e a seconda degli interlocutori, gli ambiti e i settori strategici della cooperazione. Una via, inoltre, per evitare l’emersione di gravi dispute con i vicini asiatici.

Nel recente discorso di Hu Jintao è evidente l’influenza di questa linea strategica: “La Cina si è impegnata ad una crescente amicizia e cooperazione in tutti i campi con gli altri paesi sulla base dei cinque principi della coesistenza pacifica. Vogliamo migliorare e far crescere le nostre relazioni con i paesi sviluppati espandendo le aree di cooperazione e affrontare adeguatamente le differenze con loro, e ci sforziamo di creare un nuovo tipo di relazioni di stabilità a lungo termine e la crescita dell’intesa con gli altri principali paesi. Continueremo a promuovere l’amicizia e la partnership con i nostri vicini, consolidare rapporti di amicizia e approfondire la cooperazione reciprocamente vantaggiosa con loro, e garantire che lo sviluppo della Cina porterà più benefici per i nostri vicini”.

Alla base di questa tessitura di relazioni c’è un punto fermo riaffermato, oltre che da Hu Jintao, anche da Zheng Bijian: “la democrazia rappresenta l’andamento del mondo, ma non può essere imposta dall’esterno, né può essere raggiunto attraverso disordini. Il popolo di un Paese dovrebbe decidere il proprio approccio ai diritti umani, alla democrazia e allo stato di diritto in conformità alle proprie condizioni nazionali”.

Dalle parole possiamo riferirci a due fatti recenti – non ancora completamente testardi – per comprendere i possibili sviluppi di questa linea strategica: il lancio da parte cinese, in occasione dell’ultima riunione dell’Asean, di un progetto di costituzione della più grande area al mondo di libero scambio – e senza partecipazione degli Usa – nominata “Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP)” e l’avvio di negoziati per un’area di libero scambio con la Corea del Sud e il Giappone. Iniziativa, quest’ultima, che viene nel bel mezzo della dura contesa tra Pechino e Tokyo sulla sovranità delle isole Diaoyu/Senkaku e che, in termini di Pil, può rivaleggiare con l’Unione Europea e il Nafta nordamericano (nel 2011 gli scambi tra le tre nazioni hanno raggiunto i 690 miliardi di dollari). Secondo uno studio effettuato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, se il trattato dovesse entrare in vigore il Pil cinese crescerebbe di un 2,9%, quello giapponese dello 0,5% e quello sudcoreano del 3,1%. La tessitura di quest’area di libero scambio potrebbe spegnere le tensioni nate sulle rispettive rivendicazioni territoriali e aprire la strada a negoziati con altri Paesi asiatici in linea, quindi, con quanto si augura Zheng Bijian.

(1) Zheng Bijian, “Convergence of interests”, 21/08/2012, China Daily

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