Così è…se traspare. Storie di finanza e (mancanza di) trasparenzaLa Consob misura il rischio, ma ignora l’incertezza

Scegliereste di investire i vostri soldi su un progetto per il quale avete una qualche conoscenza della probabilità di successo o su uno su cui non sapete assolutamente nulla? Questa è la domanda, ...

Scegliereste di investire i vostri soldi su un progetto per il quale avete una qualche conoscenza della probabilità di successo o su uno su cui non sapete assolutamente nulla? Questa è la domanda, forse troppo semplice per l’uomo della strada, ma molto complessa per i tecnici, che sta dietro l’annosa questione degli scenari di probabilità, creati dalla CONSOB, e sconfessati dal suo presidente. CONSOB che invece si diletta della questione, senz’altro importante, della rilevazione del rischio. Perché il rischio sì e l’incertezza no? Vediamo qual è la differenza.

Se volete fare un gioco di società con gli amici, fate loro il seguente test. Se l’annoso gioco televisivo dei pacchi non vi ha già sfracassato i marroni, prendetelo come esempio, e fate ai vostri amici la seguente domanda. Sei alla fase finale del gioco, sei rimasto con due pacchi, e sai che uno contiene 250 000 euro e l’altro niente, e hai 50 probabilità su cento di aprire quello ricco. Se arriva uno (il dottore, nella trasmissione televisiva) e ti offre una somma di 125 000 euro (la media tra 250 000 e zero) invece di tentare la sorte e tenerti il pacco, sei avverso al rischio. Se te ne offre 50 000 e tu accetti i pochi maledetti e subito invece di aprire il pacco, sei molto avverso al rischio. Di questo si tratta quando si parla di misurazione della propensione al rischio di un cliente, e bene fa la CONSOB a dedicare attenzione e convegni al tema.

Ma ai vostri amici potete proporre un test che alla CONSOB non piace. Chiedete loro. Cosa preferireste? Scegliere tra un pacco che ha zero euro contro uno che ne ha 250 000 o tra uno che ha zero contro il pacco X, quello che nel gioco può contenere di tutto, da zero fino a 500 000 euro? Smettete un attimo di leggere e fate la vostra scelta prima di continuare…

Se vi augurate di poter scegliere tra zero e una somma precisa, piuttosto che tra zero e un “pacco X”, siete in buona compagnia. L’evidenza sperimentale, molto nota a chiunque si occupi di teoria delle decisioni, è che tipicamente l’80% degli individui sottoposti all’esperimento sceglie la scommessa tra zero e una somma precisa. Sceglie di scommettere su cose sulle quali ha informazioni chiare su probabilità e ricavi (o costi), che vengono chiamate in gergo “lotterie non ambigue”: è un comportamento riconosciuto da molti di noi come razionale. Potete dire ai vostri amici che si chiama “avversione all’incertezza”.

Vediamo la storia, a grandi linee, di questo concetto, e come questo ci porti dritto alla CONSOB e alla questione degli scenari di probabilità. Il concetto risale agli anni 20, e alla proposta di Frank Knight (tanto che oggi si parla in termine tecnico di knightian uncertainty, o “incertezza di Knight”). L’idea di Knight è che la differenza tra rischio e incertezza, cioè tra conoscere o ignorare le probabilità di successo di un investimento, è la cosa più rilevante per un imprenditore. Poi passano quaranta anni e nel 1961 Ellsberg pubblica lo stesso quiz che voi avete fatto ai vostri amici (quello del pacco X). Già, se volete fare sfoggio di cultura, dite ai vostri amici: ti ho appena fatto il paradosso di Ellsberg. Se vi chiedono perché è un paradosso rispondete che è una questione tecnica di specialisti di teoria delle decisioni, ma se volete farne una volgarizzazione, rispiegate he gli individui preferiscono scommettere (e gli investimenti sono scommesse) quando conoscono le probabilità di successo, rispetto a scelte per le quali le probabilità sono oscure (le scelte ambigue). Poi c’è l’evidenza di esperimenti controllati, che abbiamo riportato sopra, e una letteratura ormai impressionante sul tema, tra cui un concetto che ci può interessare, quello di “inerzia di portafoglio”, che dà un titolo a un articolo comparso su Econometrica (se avete un amico economista, chiedete della reputazione della rivista) , ad opera di Dow e Verlang (cercatelo su scholar.google.com). L’idea è ancora quella: se gli investitori non conoscono la probabilità saranno riluttanti a intervenire sui mercati: non comprano né vendono, ed è l’inerzia di portafoglio. E questo ci porta alla CONSOB, e alla teoria Vegas per cui dichiarare le probabilità avrebbe l’effetto esattamente opposto. Potrebbe nuocere all’appetito degli investitori, perché starebbero fuori dal mercato: ricordate l’esempio dei BTP fatto davanti alla Commissione Finanze della Camera. Un secolo di ricerca non ha insegnato niente.

Per questo motivo non possiamo che concordare con le parole di Rita D’Ecclesia, che in un recente intervento su Linkiesta osservava che sarebbe stato prioritario far conoscere i rischi agli investitori, prima di classificarne l’attitudine a prendere rischi. E io aggiungerei anche un punto: e se la misurazione dell’avversione al rischio fosse disturbata dalla presenza dell’incertezza? Se c’è qualche studente in cerca di tesi si segni il problema…

So che a fronte di questo secolo di storia qualche lettore, senz’altro più preparato della media, solleverà una questione tecnica, quella della “misura neutrale al rischio”, la stessa che mi ha fatto andare in bestia quando stamani ho scoperto che alcuni dei miei studenti non la conoscevano. Non vorrei entrare su questioni tecniche, ma volgarizzando si tratta essenzialmente su quale rendimento medio scegliere. Potremmo metterci tutti d’accordo che il rendimento medio è quello privo di rischio, o che è un altro, come possiamo scegliere un termometro tarato in maniera diversa per misurare la temperatura, o tarare la bilancia in maniera diversa per misurare il nostro peso. Ma alla fine la questione è: perché dobbiamo rinunciare a misurarci la febbre? I nostri lettori più tecnici ci pensino, e speriamo che vengano dalla nostra parte, portando anche idee e suggerimenti nuovi, se del caso, ma non buttino via la probabilità…

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