Afghanistan, anno 2014. Saranno due gli appuntamenti cui il Paese andrà incontro: le elezioni presidenziali e il definitivo ritiro delle truppe internazionali. La strada che l’Afghanistan prenderà dopo questa data è conseguenza di come saprà affrontare le due scadenze.
La scorsa settimana una delegazione di rappresentati di alcune delle principali reti della società civile afgana era a Roma per incontrare istituzioni, sindacati, associazioni e organizzazioni non governative italiane aderenti ad Afgana, rete informale nata nel 2007.
Durante la visita, è stata più volte rimarcata la necessità di garantire un serio monitoraggio del voto e soprattutto verificare che alla donne sia consentito recarsi ai seggi, soprattutto nel sud del Paese.
La garanzia di un processo elettorale trasparente e democratico, hanno sottolineato gli afgani, non può essere tuttavia affidata soltanto al governo di Kabul. Serve che siano le organizzazione della società civile a farlo.
Anche per questo nella sei giorni romana che si è conclusa con una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, le organizzazioni afgane hanno cercato di continuare a tessere la rete delle collaborazioni con le controparti italiane. Non chiedono piogge di soldi, ma impegni concreti e precisi.
Si va dall’istituzione di un fondo comune per la società civile alla costruzione di una “casa della società civile” a Kabul per marcare in modo fisico la presenza di una cittadinanza attiva nel Paese, parte di un progetto di formazione e sostegno cofinanziato dalla ministero degli Esteri che vede l’Arcs come capofila, in consorzio con Nexus, Aidos e Oxfam Italia.
Senza dimenticare l’iniziativa 30 per cento, promossa da Afgana, che prevede che per ogni euro risparmiato con il ritiro delle truppe 30 centesimi vadano a finanziare lo sviluppo sociale, la lotta contro la povertà e il rafforzamento della società civile e di tutte quelle forze che lavorano affinché il Paese non ricada nel caos e non si torni indietro rispetto alle conquiste fatte.
Se così non dovesse essere, il rischio paventato per l’Afghanistan è che faccia la fine dell’Iraq, salvo rare eccezioni sparito dai radar dell’attenzione pubblica occidentale.
Rischio che a Kabul, a Herat, a Jalalabad e nel resto del Paese conoscono bene, memori di quanto successe all’inizio degli anni Novanta, quando al ritiro seguì la guerra tra bande e, alla fine, il regime dei talebani.