Bersani ha già vinto? Il tam tam pre-elettorale dà questa previsione e si spinge fino a pronosticare una vittoria al primo turno. Sarebbe prudente non azzardare ipotesi visto che, nelle primarie, come nelle elezioni vere e proprie, si trasferiscono ansie e progetti di mondi confusi e volubili. Non c’è dubbio, ad esempio, che in questi ultimi giorni si stia presentando sulla scena una contestazione arrabbiate e spesso violenta che esprime il disagio sociale e anche l’attivismo di gruppi estremistici troppo incautamente sottovalutati.
L’idea che tutto questo ribollire non si trasferisca nelle primarie del Pd è frutto dell’astrattezza di chi valuta i partiti come impermeabili all’influenza della pubblica opinione. Nella realtà non è così. Messe da parte le previsioni, che tuttavia considero fondate, possiamo però analizzare gli ultimi comportamenti dei candidati.
Tabacci e Puppato appaiono fuori gioco malgrado la buona volontà e persino l’ironia che alcuni loro sostenitori hanno messo nella battaglia di queste settimane, perso ad esempio agli esilaranti manifesti del gruppo “marxisti per Tabacci”. Vendola ha preso il comando dell’area più gauchista accentuando la sua polemica con Renzi e soprattutto con Monti. Niente di nuovo nella sua impostazione ma la consistenza del suo voto potrà dire quanto il suo mondo di riferimento sia disposto a compromettersi in una nuova esperienza di governo con uno spirito diverso rispetto agli anni di Bertinotti.
Ho ascoltato in tv il discorso di Renzi alla Leopolda dal quale ho ricavato l’impressione che, in questo ultimo raduno, abbia inteso soprattutto strutturare la sua area piuttosto che scagliarla alla conquista della vetta. Renzi ha parlato molto ai suoi, ha detto un “noi” che sembrava riferirsi più a un gruppo strutturato, anche se largo e variegato, che all’intero partito. Il suo problema è stata l’identificazione esagerata con il tema della rottamazione che gli ha dato un ruolo politico indubitabile ma lo ha anche rinchiuso in un cliché che alla fine gli ha nuociuto. Non c’è dubbio che il suo apporto alla primarie verrà raccontato dai futuri cronisti di questa fase storica, ma se sarà sconfitto questo lo dovrà a quell’immagine di corpo estraneo alla sinistra e di giovanile contrapposizione alle pantere grigie che sono stati la sua forza ma anche il suo limite.
Negli ultimi giorni ha cercato di correggere blandendo la sinistra e dichiarando che la sua polemica era contro i vecchi elefanti di partito e non contro le vecchie generazioni. Forse ha corretto troppo tardi. Quelle che non è emerso in lui è un discorso da premier, assillato com’è stato dalla polemica interna risultando, forse, poco convincente come candidato alla guida del paese. Paradossalmente è stato troppo di partito. Avrebbe dovuto parlare di più a chi sta fuori dal Pd, disinteressato al destino di Rosi Bindi.
Bersani non ha fatto grandi scelte. La sua campagna è stata priva di colpi di scena e fondata esclusivamente sulla sua immagine tranquilla e tranquillizzante. In questo senso è riuscito, a mio parere, a presentarsi sia come leader di partito sia come candidato premier. In fondo è stato più che un leader socialdemocratico, come il prototipo più riuscito dell’emilianità, un’aura che nel nostro paese ha molto corso nei momenti di crisi, basta pensare come giovò a Prodi nella sua prima vittoria. L’Emilia ex-rossa gode di un grande prestigio perché appare distante sia dall’arrembante neo-nordismo sia dagli arruffapopoli meridionali. È terra di concretezza, di risultati, di bonomia e tolleranza.
Bersani la rappresenta meglio di tutti i suoi predecessori, forse la chiave della sua campagna è stata la straordinaria intuizione di Crozza che seppe estrarre questa caratteristica estremizzandola in una macchietta che ha valorizzato la sua vittima piuttosto che deriderla. In generale la campagna per le primarie è stato l’unico momento di politica vera contro la quale neppure la vis polemica di Grillo è riuscita ad esercitarsi.
Grillo vince quando i partiti appaiono lontani, quando si avvicinano anche il suo margine si manovra si restringe. La vittoria di Bersani, al primo turno o al secondo turno, offre a lui e al suo partito la possibilità di tornare a fare un discorso politico più alto. Comunque vada, lunedì prossimo tutto il Pd deve reagire come il Partito democratico americano in cui il vincitore rappresenta tutti e il vincitore parla alla nazione.