L’approccio drammaturgico alla scrittura comporta un tradimento che è insieme urgenza divulgativa e molteplicità di senso attorno a un classico impossibilitato a difendersi. Cechov forse più di altri si presta al gioco dell’adattabilità mescolando fraseggi all’apparenza patetici a radici che chiamano in causa indebitamenti, conflitti famigliari e pene d’amore con una eco stratificata. La densità dei suoi atti unici, da L’orso a Il tabacco fa male, si presta a essere snocciolata in operazioni sceniche che tengano conto più che altro di una partitura, una memoria di caratteri su cui la scommessa di movimenti, pose e parole riscritte innesta le frenesie del presente, ma senza connotazioni di spazio e tempo.
Ecco perché in Tre atti unici da Anton Cechov di Roberto Rustioni la sfida vinta è soprattutto lo smacco fisico, la ripetizione del gesto e la sottolineatura similare delle situazioni. Il desiderio è di accomunare senza omologare, di affidarsi allo spunto di un maestro per caratterizzare ironie e tormenti universali. Tuttavia, il rischio non è tanto e non solo nella sincerità emotiva pur dosata che proviene dalle battute reinventate o ricollocate per credibilità, ma proprio nella distanza ammessa dalla pagina cechoviana. Rustioni mette in campo una fila di sedie da prova aperta sui tre lati di una scena ingombra e sgombra di storie che coinvolgono il sentimento e l’onestà attorale. E c’è intesa, irrobustimento proprio nel momento in cui si avverte la sparizione di Cechov e non la sua ispirazione.
Il primo quadro incalza su una proposta di matrimonio incompiuta e alternata a intermezzi coreografici facendo sì che proprio quei corpi in balìa l’uno dell’altro restituiscano meglio del dire la versione di un melò depurato e infarcito di fissazioni, risate isteriche e sguardi che si accendono. La bravura di chi, come Antonio Gargiulo, sa mescolarsi alle carte del giovane innamorato con la stessa naturalezza e profondità con cui raccoglie lo strazio dell’impiegato contabile, fa sì che torni la purezza del dramma russo nelle schermaglie e follie latenti, senza il bisogno di sentire nominare le identità di Natalja o Ivan.
La scelta registica di affidarsi a un’intro musicale e a intermezzi di sola azione a servizio degli intrecci e di un crollo contemporaneo tanto ridicolo già a Cechov, si avvale poi con discreto equilibrio di segni liberatori di teatrodanza fino all’apice dei conflitti. Là dove si affrontano una moglie ubriaca e un banchiere tronfio o una disoccupata senza altri mezzi che non una confessione esasperata e a tinte grottesche. Un incastro di flussi di coscienza, smanie, prese in giro, non detti e provocazioni in cui quel che risulta disilluso per primo è proprio il dichiarare, il confessarsi in verità nel vortice di un’incomprensione che distorce persino la metafora amorosa del “bosco di betulle” tanto vicino al “prato della quercia”.
Le “correzioni” del testo di Cechov diventano così davvero interessanti nel momento in cui si supera il richiamo ai rubli e alle proprietà terriere, quando l’apertura di una scena già in corso mentre si prende posto in teatro si traduce nella rottura della quarta parete e i suoi protagonisti sono gli stessi che a turno si siedono e osservano, dopo aver restituito alle tentazioni umane de L’orso, La domanda di matrimonio e L’anniversario un contributo dissacratorio. Il che è sempre un bene per spezzare l’obbligo scolastico di rendere nuovo il vecchio, ma l’autore deve scomparire per davvero e la sua memoria privarsi di nomi, ambienti e situazioni tipo per dare slancio effettivo alla non-recitazione che altrettanto coraggiosamente si fa carico di tradire il tramandato.
Associazione Teatro C/R – Fattore K – Olinda
Teatro i – 29 novembre – 10 dicembre 2012
TRE ATTI UNICI DA ANTON CECHOV
ideazione e regia di Roberto Rustioni
dramaturg Chiara Boscaro
consulenza Fausto Malcovati
con Antonio Gargiulo, Valentina Picello, Roberta Rovelli, Roberto Rustioni
movimento e coreografie Olimpia Fortuni