di GUIDO FERRADINI – http://www.officinedemocratiche.it
Abbiamo attentamente analizzato i programmi dei tre contendenti principali per le primarie del centrosinistra di domenica prossima. Il programma di Matteo Renzi è uscito nella sua definitiva stesura solo martedì 20, dopo essere stato sottoposto al vaglio del web per oltre un mese. Nella nostra opera di confronto non ci siamo peraltro limitati ai programmi pubblicati nei relativi siti, ma abbiamo anche preso in debito conto le risposte fornite nel corso della trasmissione TV Xfactor.
Le differenze tra i candidati sono indubbiamente rilevanti.
Questi i risultati dell’analisi.
Vendola: una favola intelligentemente costruita
Il programma è dettagliato e ben scritto. Contiene alcune proposte di difficile realizzazione, come l’abolizione della riforma Fornero delle pensioni. Ma ce ne sono altre che possono essere largamente condivise. Alcune di buon senso, altre di un certo spessore scientifico. Rileviamo solo un “piccolo” problema. Sommando le proposte di riduzione di tasse e quelle di aumento di spesa (vedi dettaglio in appendice), servirebbero più di 80 miliardi all’anno di risorse in più. Una favola irrealizzabile, anche ipotizzando che l’Europa concedesse a Nichi quello che non ha concesso a Monti. Smantellare il fiscal compact. Ovviamente ciò è irrealizzabile perché senza fiscal compact nessuno rifinanzierebbe il nostro debito.
Renzi: scelte coraggiose
Il programma, altrettanto dettagliato, conferma la disciplina di bilancio. Renzi non basa il suo programma su una promessa poco credibile di negoziare con l’Europa quello che Monti non è riuscito a fare. Propone invece alcune scelte coraggiose. Spostare risorse dalle rendite ai ceti produttivi. Dai costruttori di infrastrutture ai lavoratori dipendenti di fascia di reddito medio bassa (sotto 2000 euro netti al mese). Dai destinatari della “pioggia” di contributi europei (come nel caso delle erogazioni a corsi di formazione di dubbia utilità) alle piccole e medie imprese che non riescono avere accesso al credito bancario. Dalle aziende destinatarie di incentivi di vario tipo (Fiat, Alcoa solo per citare alcuni nomi d’attualità) alle mamme che a causa della carenza di asili nido non si possono permettere un posto di lavoro.
L’obbiezione che si sente muovere a questa proposta è sostanzialmente una sola. “Troppo difficile. Chi ha cercato di smontare i privilegi, ha sempre fallito”. Riprendendo il refrain della campagna elettorale a sindaco di Firenze del 2009, nella quele Renzi contrapponeva l’obamiano Yes, we can, al fiorentino “e un si pole!”
Il sindaco di Firenze, con il coraggio che lo contraddistingue, afferma: “siamo proprio sicuri che qualcuno abbia mai cercato di smontarli, i maledetti privilegi? Io riuscirò dove altri non hanno nemmeno tentato, perchè non ho debiti con nessuno”.
A Firenze però questo è successo davvero. Ne siano riprova (fra le tante altre) la privatizzazioni dell’azienda di trasporto e la pedonalizzazione di piazza del Duomo, considerata la vera mission impossible fiorentina (a proposito, andate a vederla con i vostri occhi, ne vale la pena!)
Bersani: Le contraddizioni nascoste
Colpisce davvero l’imbarazzante genericità del programma del Segretario. Neanche un numero, nessun impegno preciso tranne la vaga “promessa” di una tassa patrimoniale (ahi noi, ancora tasse?). Che si dice peraltro colpirebbe “i grandi patrimoni”. Quali però non è dato saperlo.
Il programma è un susseguirsi di slogan o affermazioni generiche. “Metteremo la creazione di nuovi posti di lavoro e la dignità del lavoratore al centro dell’azione del governo italiano ed europeo”. Benissimo! Come? Su questo (per chi volesse approfondire) abbiamo già scritto su questo blog ( http://www.linkiesta.it/blogs/officine-democratiche/il-lavoro-prima-di-tutto-anche-se-bersani-non-ha-una-proposta-concreta). Ancora più generiche le affermazioni: “la scuola al centro”. O “dura lotta all’evasione”. Mai nessuna proposta concreta. Che non si ritrovano neanche nei documenti elaborati dal PD in questi ultimi anni, tutte (o quasi) superate dalle riforme poste in essere dal Governo Monti. Sul lavoro e sul fisco l’arretratezza delle proposte è desolante.
Bersani non lo dice. Ma dietro la sua reticenza si nasconde una irresolubile contraddizione, che ovviamente non può ( e non potrà sciogliere).
Infatti Bersani ha due diverse opzioni:
Seguire la linea di Vendola e del responsabile economico del PD Stefano Fassina. Ovvero, rinunciare alla disciplina di bilancio. E ciò pare desumersi da affermazioni quali :“andremo con Hollande a rinegoziare con la Merkel”. Ma una affermazione di questo tipo non può che rimanere vaga, perché sa che è una promessa da marinaio.
Seguire la linea Renzi e trovare risorse per l’equità e per lo sviluppo all’interno della spesa pubblica attuale. Benissimo. Ma qua casca l’asino. Dalla sanità? no. Dal welfare? No. Dalle pensioni? Per carità. Dall’istruzione? Non se ne parla nemmeno (giustamente). Dalle infrastrutture? Non si può. Perché il PD sostiene che bisogna “farne di più, soprattutto al sud” (diversamente da Renzi e da Vendola). Dagli incentivi alle imprese? Difficile, se si applaude alla costituzione del Fondo Strategico Italiano, una specie di private equity statale. Quasi una IRI rediviva.
Bersani quindi ha deciso di puntare tutta la campagna elettorale sulla sua esperienza e credibilità (e su questo ci sarebbe da tornare!), proprio perché NON può avere un programma. Un programma vero, per cambiare il paese, richiede di rompere decisamente con l’impostazione del passato.
Bersani, questo non può e non vuole fare!
Che dire? Se si vuole cambiare strada la scelta è obbligata.